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Più sintonia tra Casa Bianca e Vaticano

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RodolfoLorenzoni Rapporti molto forti. Dietro al volto sorridente del presidente Obama che lascia il Vaticano alla fine dell'udienza con Benedetto XVI, c'è la volontà dell'amministrazione americana di consolidare la sintonia di carattere politico stabilita con la Santa Sede. La simmetria tra Ratzinger e il leader Usa si realizza sui temi dell'economia globale: da una parte lo «sviluppo dell'uomo» nel rispetto dell'etica e delle ragioni dei più deboli proposto da Benedetto nella recentissima enciclica «Caritas in veritate»; dall'altra, in corrispondenza, i convergenti risultati del G8 che Obama porta subito «in dote» al Pontefice, già nelle prime frasi pronunciate all'inizio dell'incontro. Rispetto alla amministrazione Bush, si assiste a un autentico rovesciamento di prospettiva. Se allora (con Giovanni Paolo II, ma anche con Benedetto XVI) i contrasti si registravano sulla gestione interventista e bellicosa dei conflitti internazionali da parte degli Usa, oggi l'apprezzamento vaticano va proprio alle visione di conciliazione dei conflitti (anche e soprattutto in medio oriente e nei rapporti col mondo islamico) volenterosamente promossa da Obama. Nelle relazioni vaticane con Bush, inoltre, gravava in qualche modo il massiccio peso degli evangelici nell'elettorato dell'allora presidente americano. Mentre l'operato dell'attuale amministrazione Usa nel campo della politica estera e della globalizzazione economica è oggi visto di buon occhio dalla diplomazia romana e incontra il favore dello stesso Benedetto. Ma vi sono punti di dissidio, che nel faccia a faccia sono stati affrontati esplicitamente. Riguardano i temi della bioetica, dell'aborto, della vita: su tali questioni – ritenute cruciali dalla Santa Sede - risuonano ancora le severe critiche rivolte nei mesi scorsi a Obama dall'episcopato degli Stati Uniti e dagli intellettuali conservatori americani, riguardo una politica giudicata contraria ai valori fondamentali della dottrina cattolica. Non a caso tra i doni che Benedetto XVI ha voluto consegnare al presidente americano c'è il librino «Dignitas Personae», un documento uscito lo scorso anno in cui si ribadisce il netto no della Chiesa all'aborto e alla ricerca sulle staminali. E il segretario personale del Papa, don Georg, si è premurato di spiegare che il testo dato in regalo potrebbe aiutare il presidente a comprendere meglio la posizione vaticana in materia. La difesa e la promozione della vita e il diritto all'obiezione di coscienza sono insomma i «principi non negoziabili» che Benedetto ha voluto ribadire a Obama nel corso del colloquio, e sono la sfida che la Chiesa di Roma pone all'attenzione dell'uomo più potente del mondo. Insieme a immigrazione e ricongiungimento familiare, dialogo interreligioso, aiuti all'Africa e all'America Latina. In tutto ciò l'atteggiamento del presidente americano è stato di assoluta conciliazione, in accordo con i non formali attestati di rispetto e riconoscimento che Obama ha tributato a Benedetto XVI nelle interviste di preparazione all'udienza rilasciate nelle ultime settimane. Il leader americano sapeva bene che l'incontro con il Papa non era certo un appuntamento secondario nell'agenda del suo viaggio italiano: la conquista e il mantenimento dell'elettorato cattolico – considerati strategicamente decisivi dalla Casa Bianca - passano da relazioni distese con la Santa Sede. Lo staff del presidente ha quindi lavorato per preparare un programma di colloqui che vertesse specificamente su temi condivisi: dialogo con l'Islam, pace in medio oriente, lotta per il disarmo. È in questo quadro di distensione diplomatica che va letto l'impegno, assunto da Obama di fronte al Papa, di operare per la riduzione del numero degli aborti; tanto che Benedetto XVI ha lodato la capacità di ascolto e di dialogo mostrata dal presidente. La realizzazione pratica dello spirito costruttivo mostrato da Obama nell'udienza vaticana di ieri, dipende ora dal complesso insieme degli equilibri politici e degli interessi economici in gioco nella società americana, che il presidente si troverà a gestire una volta rientrato negli Stati Uniti.

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