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«Pronti alla sfida nell'energia»

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Unajoint venture da 49 milioni di dollari con un investimento da parte della Getra, che deterrà la quota di maggioranza, da 50 milioni di euro. È questo uno degli accordi, il più importante in termini finanziari, siglato ieri nell'ambito del Forum imprenditoriale Italia-Cina. La Getra, con due stabilimenti in Campania ma fortemente presente nella Capitale, è leader nella produzione, costruzione e manutenzione di trasformatori elettrici di media e grande potenza. Ne abbiamo parlato con il presidente Marco Zigon che ha seguito passo passo la definizione della joint venture. Avrete la maggioranza della joint venture. Come avete convinto i cinesi? «La joint venture è con il Gruppo Baosheng, leader nel settore dell'energia in Cina e tra le prime trenta società quotate nella Borsa di Pechino. La Cina sta perseguendo una politica industriale di grande attenzione verso i prodotti ad alto contenuto tecnologico e l'Italia è leader in numerosi settori compreso quello energetico che è uno delle aree di maggior investimento in Cina». Qualche cifra? «Una prima di tutte. Gli investimenti in Cina in elettricità sono cinque volte superiori a quelli effettuati in Europa». Quale è l'obiettivo di questa joint venture? «Noi portiamo il know how per la costruzione, nella regione del Baohing, di uno stabilimento che produrrà trasformatori di media e grande potenza tra i 220 e i 500kV, destinati a fornire il mercato cinese. L'accordo ha una grande importanza strategica alla luce dell'aumento considerevole di domanda locale di energia elettrica e degli importanti progetti di incremento delle centrali di produzione e del sistema di trasmissione e distribuzione». Quanti lavoratori saranno impiegati? E quanti saranno gli italiani presenti nel nuovo progetto? «Saranno circa 300 le unità operative. Gli italiani saranno presenti a livello di progettazione, ingegnerizzazione dei trasformatori elettrici e ricerca. Baosheng si occuperà della realizzazione dello stabilimento, della selezione e gestione del personale e della organizzazione della rete di vendita». Quali dificoltà avete incontrato nell'operare in un paese così diverso? «Per noi è la prima esperienza in Cina. Ci siamo dovuti scontrare con la burocrazia e con riti imprenditoriali molto diversi». Quali? Ha qualche episodio da raccontarci? «Bè, noi italiani siamo più sintetici, veniamo subito al sodo, ci presentiamo agli incontri con un numero ristretto di persone, quelle strettamente necessarie e con specifiche competenze. I cinesi si muovono in delegazioni numerose e ciascuno vuole parlare. Ma superato il primo ostacolo poi tutta fila liscio. L'importante è avere un partner locale. La Cina è un mercato con grandissime prospettive e questo è il momento giusto per le imprese italiane per mettere radici». Non è che l'Italia è arrivata in ritardo? «Assolutamente no. Le imprese italiane sono molto quotate e non hanno niente da invidiare alle grandi società europeee e americane». Quanto influisce il diffuso meccanismo della contraffazione nei rapporti tra l'Europa e la Cina? «La contraffazione riguarda prodotti senza elevato contenuto tecnologico. È necessario che quel Paese si dia delle regole anche nella consapevolezza che è tra le realtà economiche che guideranno la ripresa. Sto notando però una evoluzione verso il rispetto delle regole internazionali. Spero che un passo in avanti in questo senso arrivi dal G8. Per questo è necessario allargare il G8 alle economie trainanti e in primo luogo alla Cina. Bisogna rafforzare la collaborazione tra i mercati per la tutela dei reciproci interessi». Non temete di essere fagocitati dal colosso cinese? «Le imprese italiane, che io ho visto operare in quel Paese, hanno un'altissima qualità di prodotti e tecnologie e sono ben attrezzate ala sfida dele competizione»..

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