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Però da anni è la stessa storia

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Il Presidente Silvio Berlusconi in una immagine scattata il 31 maggio 2009 davanti all'ingresso dell'Hotel Palace di Bari, di fronte al premier Patrizia D'Addario

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Non parlo di complotto. Essendo il linguaggio una convenzione, possiamo accordarci e chiamarlo "Gennaro", perché, al di là del significante, importante è il significato. Gennaro è realtà, che si perpetua da 15 anni e più. Da quando Berlusconi discese in campo, distruggendo la «gioiosa macchina da guerra», che doveva impiantare in Italia la via venezuelana al socialismo, all'antiamericanismo e alla kefiah, l'opposizione al Cavaliere si è sempre configurata come sinergia eversiva tra pezzi dello Stato, magistratura, poteri forti, mass media, ex Pci, sinistri Dc, forcaioli sciolti. I fatti parlano da soli. Scalfaro, che il 21.XI.1994 riceve l'irrituale telefonata di Borrelli sull'avviso a Berlusconi, mentre l'atto giudiziario è già in fotocopia in Via Solferino; lo stesso Scalfaro, che quel giorno, parla, a sorpresa, di «scosse», prefigurando un «governo del Presidente», ebbene codesto sciame sismico con epicentro al Quirinale non fu una concatenazione tipica delle rotture costituzionali?   È un fatto che «Gennaro» nasce dalla compenetrazione tra una parte della magistratura e l'area del postcomunismo. Livio Pepino, attuale componente togato del Csm, rivisitò l'indipendenza in chiave di «apertura alle spinte partecipative e progressiste». Non risulta che si sia mai ravveduto, così come altri magistrati ancora in servizio, i quali, partiti da «lo Stato borghese si abbatte, non si cambia». Visti certi originari dilemmi (« …quando un giudice di Md… si trova di fronte degli imputati che si definiscono "terroristi di sinistra" che cosa deve fare? Oppure quando… si trova di fronte un lavoratore ed un imprenditore, il giudice di MD deve considerarli "uguali" di fronte alla legge? O assumere un atteggiamento parziale?»), stava scolpita su marmo la convergenza tra nipotini di Stalin e Procure per eliminare Berlusconi. Sulla Stampa, 22. III .1994, a 5 giorni dal voto, fu attribuita a Violante la seguente «scossa»: «… La verità è che le cose uscite sui giornali sono delle stupidaggini… Anche Caselli è incavolato nero. La verità è che Dell'Utri è iscritto sul registro degli indagati della Procura di Catania, non di quella di Caltanissetta… C'è un pm di lì, si chiama Marino, che sta conducendo un'indagine di mafia su un traffico di armi e di stupefacenti». A parte gli epigoni, i caporioni antiberlusconiani, a mezzo stampa, sono sempre Bocca, Mieli, Furio Colombo, Scalfari… tutti coloro che, guarda caso, diedero del «torturatore» al commissario Calabresi. Per valutare l'insostenibile volgarità dell'odierno «Gennaro», con Procure alacri su farse, gossip e bischerate, basta il confronto con i milioni di processi finiti in prescrizione prima del dibattimento o con le decine e decine di boss mafiosi tornati liberi, perché un giudice non ha trovato il tempo, in quindici e più mesi, di scrivere dieci paginette di motivazioni. Quando c'è spedire a Berlusconi inviti a… scomparire, allora si lavora sodo. «Gennaro», insomma, c'è e nuoce all'Italia. Semmai è la riforma della giustizia che non c'è. E la sua mancanza nuoce agli italiani.

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