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Si restituisca il giusto onore ai Servizi segreti

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Vent'annifa, il 22 giugno, Giovani Falcone subì il primo fallito attentato o l'ennesimo eloquente avvertimento, sotto forma di esplosivi depositati davanti alla sua abitazione sulla costa palermitana. I nemici di Falcone erano tanti e non solo mafiosi. Quel magistrato aveva dato schiaffi, in punto di diritto, di civiltà giuridica e di buon senso, a forsennati i professionisti dell'antimafia, ai comunisti e a certi loro intrecci sospetti, a magistratura democratica, alla corporazione togata tutta e a quant'altri, avvocati e professori sedicenti "democratici", per non dire semplicemente "comunisti". Falcone parlò addirittura di separazione delle carriere, della politizzazione dei pm e di auspicabile superamento dell'obbligatorietà dell'azione penale, denotando onestà intellettuale e coraggio a tal punto da disturbare e rendere infelici ed isterici anche certi editorialisti, che, a loro eterna vergogna, arrivarono all'impudenza di definirlo "guitto". Altri, che a tutt'oggi siedono ancora a Monte Citorio, parteciparono con calunnie velenose all'omicidio morale e professionale del grande Giovanni, accusandolo addirittura di tenere nel cassetto chissà quali prove contro mafiosi e politici collegati a Cosa nostra. Tanto odio trovò, poi, l'apoteosi nella strage di Capaci, non a caso spiegata a caldo dal procuratore della Federazione russa, Valentin Stepankov, come azione militare programmata a livello internazionale tra mafie caucasiche e siciliane, Pcus e coni d'ombra della Sicilia affaristico-comunista, quella che Falcone aveva intuito e sfiorato. E Stepankov attribuì alla stessa matrice politico-criminale l'omicidio di Borsellino. Mi ha fatto tornare alla mente il "mistero" dell'Addaura un maestro di giornalismo, l'amico e collega Victor Ciuffa, corrierista storico dell'epoca in cui via Solferino partoriva non uomini di potere, bensì grandi giornalisti. Ragionando con me sulle foto scattate a villa Certosa, con la mente aguzza di uno Sciascia - sempre vent'anni fa, proprio quando crollava il comunismo, Leonardo, l'ultimo vero illuminista, ci lasciò -, Victor non si è soffermato banalmente sulla privacy violata o sulla furia di portineria del "Pais", individuando il cuore del problema. Chi scattò quelle foto, in luogo dello zoom poteva benissimo usare un bazooka. Dov'erano le forze dell'ordine? Dov'erano i servizi? È mai possibile che il Presidente del Consiglio, leader amatissimo dalla maggioranza degli italiani, ma odiatissimo da una minoranza incattivita, debba rimanere alla mercè dei malintenzionati? Ecco, si è parlato tanto dell'ex premier ceko Topolanek in costume adamitico, quando foto consimili rappresentarono Gianni Agnelli come l'aveva fatto mamma e rifatto il chirurgo inguinale, nessuno, in un'Italia ai tempi assai più pudibonda, lanciò guaiti moralistici. Via Caetani incombe e bisognerebbe riprendere il tema serissimo della protezione dei nostri vertici istituzionali, senza dimenticare, inoltre, l'imperativo di restituire ai "servizi" autonomia, orgoglio professionale, licenza di agire e di prevenire. Dal caso Sifar, costruito a tavolino dal Kgb, messo a punto e rodato presso l'ambasciata sovietica di Roma, infine, consegnato chiavi in mano dal sinistro-indipendente Anderlini all'Espresso e, quindi, fatto esplodere a danno del generale De Lorenzo, dell'Arma dei Carabinieri e delle nostre strutture di intelligence, il centrosinistra pilotato dal Pci e dai cattocomunismi amici del Kremlino perseverò nell'opera di distruzione e delegittimazione dei nostri 007, lasciati in balìa di toghe rosse e della magistratura combattente. Le acute e puntuali domande di Victor Ciuffa le giro, perciò, allo stimato Gianni Letta, da cui mi aspetto che, intanto, si garantisca, con la privacy, anche l'incolumità di una personalità a rischio come Berlusconi e, quindi, si restituisca dignità e funzionalità ai preziosi servitori dello Stato addetti all'"intelligence".

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