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Notti a mano armata: accoltellato quindicenne

Uomo armato

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{{IMG_SX}}Carlo, 15 anni, romano, insegue tre giovani, anche loro romani, che lo hanno rapinato. Uno di questi si gira e gli infila il coltello in pancia bucandogli l'intestino. Scorre ancora sangue sulle strade della Capitale. Il ragazzo è stato operato e ora è fuori pericolo all'ospedale San Giovanni Addolorata. I balordi sono ricercati. Il movente della violenza però è ancora incerto. L'agguato non sembra quello di predoni a caccia di soldi. Anche perché il bottino è povero: un portafogli senza soldi e un telefonino spento. E allora? Le tre giovani vittime della rapina avrebbero una passione in comune: disegnare con la vernice spray, e molti muri dell'Ostiense sono diventati tele per writers. Qualcuno non li voleva in zona? Le indagini, coordinate dal colonnello del Gruppo Roma, Alessandro Casarsa, vanno avanti. Decisive le testimonianze dei ragazzi. In mattinata, i tre amici sono stati ascoltati nella uffici della Compagnia Eur diretta dal maggiore Antonino Tetta. Carlo è stato sentito nel pomeriggio. «Noi siamo stati avvertiti solo quando il ragazzo è stato portato dagli amici al San Giovanni - dice il colonnello Casarsa - Presumibilmente tra la rapina e l'accoltellamento avvenuto tra l'una e l'una e mezza è trascorsa circa un'ora». In questo periodo ogni goccia che cade da una ferita aperta da un'arma da taglio fa più rumore del solito. Pochi giorni fa il sindaco Gianni Alemanno ha lanciato l'allarme violenza e ha dichiarato la sua guerra al bullismo armato augurandosi che il Parlamento faccia suo il grido di battaglia ai coltelli: «Chi li porta con sé va arrestato». La zona del fatto è l'Ostiense, a poche centinaia di metri dove qualche settima fa con una coltellata al cuore è stato ucciso un trentunenne e sono stati gravemente feriti al ventre, ai fianchi e alle spalle tre suoi amici. Tre amici - il più piccolo è Carlo, gli altri vanno dai 16 ai 18 anni - decidono di andare a mangiare una pizza in un locale all'Ostiense, un fazzoletto di asfalto zeppo di locali, di giovani e di teste che si scaldano in fretta, al primo sguardo che non va. Arrivano suoi motorini. un quarto amico lo incontrano lì. I primi sono grandi amici, anche se abitano in zone diverse della città: ai Colli Portuensi, al Flaminio, al Gianicolo: punti concentrati nell'emisfero della città che va da sudovest a nord. Dopo la cena, alle 23,30 circa, in strada incontrano i tre rapinatori. Non sono a volto coperto, non indossano passamontagna, ma due di loro fanno di tutto per nascondersi: hanno sollevato sulla testa il cappuccio della felpa e con l'oscurità e la luce a chiazze dei lampioni il loro volto non è sempre visibile. Due di loro riescono a fuggire, c'è anche Carlo. Uno no, il maggiorenne: gli sfilano il portafogli coi documenti e il telefonino. Nel primo non ci sono soldi, il secondo è scarico. Poi se ne vanno. Sono tutti storditi. Non sanno se arrabbiarsi, concludere che se la sono vista brutta e che poteva andare peggio, chiamare subito le forze dell'ordine. La reazione che decidono di avere è un'altra, l'opzione fai-da-te: vogliono farsi giustizia da soli, cercare quei tre, farsi ridare gli oggetti e magari dargliele. I quattro si mettono alla ricerca dei rapinatori. Puntano in direzione piazzale Ostiense, forse perché lì vicino c'è lo scalo ferroviario dove dormono senzatetto iraniani e afghani e qualche altro. I terzetto di amici è a piedi, il quarto è andato alla macchina. Allungano il passo. È Carlo a esclamare, come il marinaio in coffa quando vede terra: «Eccoli, sono loro». Sono in via Matteucci all'angolo con via Benzoni. Loro sono tre ragazzi riconosciuti come i balordi della rapina perché indossano gli stessi abiti. Gli amici corrono, gli altri fuggono. Carlo corre più degli altri. È vicino uno dei fuggiaschi, gli afferra la maglia. Questi all'improvviso si volta e gli infilata il coltello in pancia. La corsa successiva è dell'ambulanza che trasporta il giovane al San Giovanni. Lì vengono avvisati i carabinieri della Garbatella e anche i genitori dei minorenni e di Carlo. «Io era andata a letto - racconta la madre - Mio marito giocava a carte con gli amici. Carlo era stato il pomeriggio in palestra con amico, dicendomi che la sera sarebbe andato a mangiara una pizza. Più tardi ha chiamato e ha parlato con mio marito: "Papà, sono stato accoltellato"». Nonostante i controlli varati dal Comune nelle notti del fine settimana, alcune zone della movida, e in alcuni orari, si rivelano a rischio. Le forze dell'ordine e la polizia municipale controllano e pattugliano. Si vedono meno ubriaconi e si contano meno risse a colpi di bottiglia. Ma debellare il crimine è come raggiungere l'immortalità, una chimera.

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