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Rai, prima uscita a sinistra

Dario Franceschini

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Ora basta. Ha ragione Dario Franceschini. La Rai non è una «torta da spartire». Il presidente del Consiglio se lo metta bene in testa. Basta con le riunioni a Palazzo Grazioli, con i partiti che provano a mettere questo o quel giornalista su questa o quella poltrona. La Rai non va trattata così. Semplicemente perché è un ufficio di collocamento. Della sinistra. Sia ben chiaro, nessuno può impedire ad un giornalista di avere le proprie idee politiche. Ci mancherebbe. La cosa buffa è che mentre Dario Franceschini sbraita contro l'occupazione di Viale Mazzini da parte della maggioranza, dimentica che le file del Partito Democratico sono state e sono tutt'oggi piene di personalità che vengono proprio dalla Rai. L'ultimo ad approdare sotto le rassicuranti insegne del Pd è stato David Sassoli, vicedirettore del Tg1 con alle spalle 17 anni di carriera telegiornalistica. Franceschini (quello che va su tutte le furie se il premier parla di televisione pubblica) gli ha offerto un posto alle europee. E lui, fedele ad una tradizione che si ripete da anni, ha detto sì. Già, perché non è la prima volta che il centrosinistra pesca da «mamma Rai». Walter Veltroni, ad esempio, alle politiche del 2008, aveva fortemente caldeggiato la candidatura di Andrea Sarubbi, conduttore del programma «A sua immagine» e volto piuttosto conosciuto nel mondo cattolico. Che dire poi della carriera di Sergio Zavoli che dal 2001 siede comodamente nel suo scranno da senatore (prima Pds, poi Ulivo e oggi Pd) e che, lo scorso 4 febbraio, è stato eletto alla presidenza della commissione di Vigilanza? Per lui oltre a numerosi programmi televisivi di successo anche un passaggio al settimo piano di Viale Mazzini: presidente tra il 1980 e il 1986 negli anni d'oro di Bettino Craxi. Ma la lista è piuttosto lunga. Giuseppe Giulietti, oggi deputato Idv dopo anni di militanza Ds, entrò in Rai nel 1979, divenne il capo del sindacato Usigrai e poi, nel 1994, migrò verso il Parlamento.   Furio Colombo, prima di dedicarsi alla carta stampata e alla politica attiva, si fece notare dalle parti di Viale Mazzini già nella metà degli anni '50. Roberto Zaccaria, archiviata l'esperienza di presidente (1998-2002), ha scelto, per fare il grande salto, le elezioni suppletive in un collegio delle zona est di Milano nel 2004. Una citazione la meritano poi altri due parlamentari del Pd: il deputato Giorgio Merlo attuale vicepresidente della Vigilanza e già giornalista presso la sede Rai del Piemonte, e il senatore Riccardo Milana che, orgoglioso, sul suo vecchio sito si descrive come «giornalista, dipendente Rai, autore di programmi televisivi per bambini». Claudio Petruccioli, invece, ha fatto il percorso inverso. Dopo una vita nelle file del Pci (a cui si iscrisse appena compì 18 anni nel 1959) venne eletto presidente della televisione pubblica nel 2005. Un po' come Carlo Rognoni che da giornalista (direttore di Epoca e del Secolo XIX) divenne politico e, poi, consigliere di amministrazione a Viale Mazzini. Venti anni in Rai anche per l'attuale governatore del Lazio Piero Marrazzo che, qualche anno prima, era stato preceduto da Piero Badaloni. Per lui, però, si trattò di un'andata e ritorno. Tanto che, dal dicembre 2006, è direttore di Rai International. E non è il solo. Il caso più illustre è sicuramente quello di Michele Santoro eurodeputato giusto il tempo di abituarsi al clima di Bruxelles (giugno 2004 - novembre 2005) e oggi grande fustigatore del Cavaliere su Raidue. Con lui, ai tempi, c'era anche Lilli Gruber che però, terminata l'esperienza europea, si è dovuta accasare a La7 (forse non tutti i figli sono uguali). Mentre a Viale Mazzini, dopo una legislatura come europarlamentare Ds (1994-1999), si è accomodato Corrado Augias. Nell'Olimpo della sinistra-Rai poi, un posto d'onore lo meritano sicuramente Alessando Curzi e Angelo Guglielmi. Il primo, inventore di Telekabul si candidò, senza successo, contro Antonio Di Pietro. Mentre il secondo, dopo aver diretto Rai Tre, se ne andò a fare l'assessore alla cultura della giunta Cofferati. Insomma, «l'ufficio di collocamento» di Viale Mazzini ha sempre lavorato molto bene per la sinistra. La stessa sinistra che oggi punta il dito contro Berlusconi e chiede di togliere le mani dalle nomine. Che faccia tosta.

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