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"Senza casa si perde l'identità"

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{{IMG_SX}} Non bastano il pane e una tenda per non sentire più nelle orecchie il rumore sordo del terremoto, per non avere più negli occhi le macerie di una città, per non avere più nel naso l'odore della morte. Nella scala dello stress che posto occupa un evento naturale ma distruttivo come un sisma? «I primi posti - spiega il professor Massimo Fagioli, medico psichiatra - Non è solo un pensiero che resta ma un'immagine. Lo ha detto con semplicità una sfollata dell'Aquila: aveva davanti agli occhi la visione della sua casa in macerie. Ecco, la casa è la nostra identità, un'identità nazionale, perché non è soltanto utile contro le intemperie e comoda per viverci, ma ci rappresenta». Oggi o è sempre stato così? «Alcuni anni fa in uno studio abbiamo osservato che ai tempi del passaggio dalle caverne alle capanne, l'uomo ebbe delle difficoltà, perché benchè la scelta fosse razionale e utile, faceva sentire l'uomo poco protetto. Lo spiega anche Omero nell'Odissea in un dialogo tra Polifemo e Ulisse... Insomma la casa va oltre il bisogno e l'efficienza, perché l'idea di identità supera la ragione e quindi l'uomo ha l'esigenza di fare alcune cose tra cui costruire la casa, al di là degli strumenti del lavoro, come diceva Marx». Oltre a cibo e riparo di cosa hanno più bisogno gli sfollati? «Difficile dirlo perché non si riesce ad interpretare la realtà mentale. Comunque serve costruire ommediatamente prefabbricati, per ridare una casa, non solo come protezione dal clima, ma come significato. Inoltre riuscire a comunicare nella misura in cui si si spiega che questa è una catastrofe esterna, materiale, la lesione è del corpo e non c'è lesione mentale. Non ci deve essere la catastrofe della vita. Dopo anni di lavoro si ha un'identità pesonale che dà significato a ciò che si è fatto, altro aspetto è quello psichico, la realizzazione dell'immagine che quando crolla tutto con violenza provoca angoscia e senso di fallimento, anche se il motivo è esterno, naturale come un terremoto». Come vede gli abruzzesi? «Stanno reagendo bene. E' gente forte». I bambini come vanno aiutati? «Non entrando in angoscia. Bisogna evitare che il crollo delle case si unisca al crollo dell'identità dei genitori e delle persone attorno, perché i bambini reggono la catastrofe materiale, ma non quella mentale di chi hanno attorno. Vanno sostituiti immediatamente i genitori morti con persone che diano sicurezza, serve spiegare che quello che è accaduto è un incidente, che l'uomo lotta sempre contro la natura, a differenza degli animali che sono passivi, che l'uomo si oppone al selvaggio della natura anche se è violenta. È questa la caratteristica dell'identità umana e va spiegata anche con la fantasia». E gli anziani? «Va fatto capire che se non c'è più nulla non è per colpa loro, non è a causa di un loro fallimento». Insomma, nelle tendopoli gli psicologi sono utili? «Il supporto psicologico è indispensabile perché il sisma è un evento che terrorizza. Quando il suolo che si mette a tremare e sprofondare è difficile pensare che non crolli l'identità dell'uomo, solo perché è un fatto naturale. Provoca una sensazione d'impotenza, d'incapacità di difendersi e una paralisi assoluta che porta l'angoscia a livelli altissimi. Ecco gli psicologi sono necessari ed inoltre sono molto bravi ad aiutare chi ha vissuto quei lunghi secondi drammatici».

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