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Pericolo Tevere, catastrofe scampata

La bonifica dopo l'esondazione del Tevere nel dicembre scorso

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Il Governo e la Protezione civile, finalmente, si stanno muovendo in tal senso. Ma ancora poco è stato fatto e, quindi, molto resta da fare. Lo sottolineeranno oggi una serie di esperti riuniti a convegno nella Capitale per discutere la questione idrica in occasione della Giornata Mondiale dell'Acqua. «Gli interventi di emergenza rappresentano la via più semplice ma hanno costi elevati, sia in termini di vite umane che economici per la messa in sicurezza e ripristino dello stato dei luoghi - fanno notare nella loro relazione Zagari, Argentieri e Tanga - È necessario investire sulla prevenzione attraverso la corretta gestione dei corsi d'acqua, considerando il bacino idrografico nel suo complesso e migliorando le caratteristiche ecologiche e idrauliche dell'intero sistema (corso d'acqua e territorio circostante)». E i progetti di riqualificazione devono riguardare anche il «reticolo secondario», cioè fossi, marrane e torrenti. Inoltre, fenomeni come quello di dicembre, sono spesso imputati a cambiamenti del clima, mentre invece «quasi sempre si tratta della diretta conseguenza di una cattiva gestione dei corpi idrici e del territorio». Gli esperti, infatti, fanno notare che «la Provincia di Roma, come molte aree metropolitane, negli ultimi decenni ha subito un'espansione urbanistica notevole», con un «rilevante aumento del suo trasformato e impermeabilizzato, senza un corrispondente adeguamento idraulico ed ecologico del reticolo idrografico». L'avanzata del cemento ha prodotto insediamenti residenziali, industriali e agricoli «anche in zone a elevata vulnerabilità e nelle fasce di rispetto dei corpi idrici, aumentando il rischio per la popolazione residente». Che fare allora? In un'altra delle relazioni che verranno presentate oggi, Bencivenga, Bersani e Piotti osservano che «il tratto terminale» dell'Aniene «è soggetto ad esondazioni ogni qual volta si verificano precipitazioni intense nel bacino» e ciò determina «il rigurgito dei numerosi fossi scolanti nella bassa valle dell'Aniene con conseguenti allagamenti». C'è poi il problema dei galleggianti, riguardo i quali «è urgente rivedere le concessioni per ridurre il livello di rischio connesso» in tutto il tratto urbano, «sino ad interdire completamente, se necessario, la loro presenza nei tratti più a rischio». Il 13 dicembre 2008, «particolarmente vulnerabili, anche per il grande ingombro, si sono rivelate le strutture portuali per la navigazione e le navi». E ancora. Durante l'emergenza si sono usati i platani dei lungotevere per l'aggancio delle piattaforme galleggianti. Ma questo, appunto, va considerato solo come «un rimedio consigliato dall'emergenza, sul quale nessuno potrebbe fare affidamento in condizioni normali». In realtà, sostengono i relatori, l'anno scorso si è rischiato un «effetto domino» che non è avvenuto perché non si è staccata una piattaforma galleggiante nell'ansa dell'Acquacetosa dove è ubicata la maggior parte dei circoli sportivi». Altrimenti «i galleggianti si sarebbero fermati su Ponte Milvio, provocando probabilmente una maggiore e più pericolosa ostruzione delle luci del ponte rispetto a quanto avvenuto a Ponte Sant'Angelo». Infine, è indispensabile intervenire sul rimodellamento dello «scarico del serbatoio di Corbara». Anche in caso di emergenze e calamità varie, tuttavia, «c'è assoluta necessità di far chiarezza su chi ricadono le competenze nell'intero bacino del Tevere e in particolare per la gestione di Corbara», questione risolta finora grazie «ai buoni rapporti tra i tecnici dei vari enti». All'italiana, insomma. Amara, infine, la conclusione degli esperti: «Troppo spesso - scrivono - le grida di allarme della comunità scientifica sono state trascurate per far posto ad interessi di vari gruppi di potere politico o economico-finanziario».

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