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Finalmente il Pd ha una segreteria «scalabile»

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Sinora, infatti il Pd ha sofferto della malattia senile dei partiti comunisti: una nomenklatura proprietaria unica della segreteria in perenne complotto con sé stessa. Le primarie dell'ottobre del 2008 ne sono stata la prova. La candidatura Veltroni era stata patteggiata tra le "componenti" (con conseguente, scandaloso -e masochista- scambio con Rutelli su Roma), nessun candidato alternativo ha mai tentato seriamente di contrapporsi e Enrico Letta, Rosy Bindi e gli altri hanno corso unicamente per rafforzare la propria "componente". Gli ex Dc e i rutelliani, al solito, hanno subito il gioco e il risultato anche per il Pd è stato quello di riproporre lo scenario di sempre, da quando Occhetto, D'Alema e Veltroni hanno "soffiato" la segreteria del Pci a Alessandro Natta 21 anni fa, approfittando cinicamente di un infarto (che non gli avrebbe per nulla impedito, come si vide subito, di restare segretario): si "nomina" un segretario, nessuno lo contrasta nel "voto democratico" (che sia un congresso o le primarie), quello trionfa, ma subito inizia il "tiro al segretario". L'apparente eccezione della sfida tra D'Alema e Veltroni nel 1994 confermò la regola: fu un rapido duello, risolto tutto dentro la nomenklatura e infatti partorì una strategia demenziale che ha immobilizzato per 10 anni il paese (e prodotto i due fallimenti dei governi Prodi). Grazie a Bersani, dunque, il Pd si avvia da oggi a essere un partito normale in cui la segreteria è "scalabile" . Certo, Bersani non rappresenta "il nuovo", ma questa sua candidatura ha tutte le caratteristiche per ovviare al peccato originale del Pd. Non contrappone slogan a slogan, ma è palesemente alla ricerca di un suo blocco sociale di riferimento, di una sua politica di alleanze e di un programma, alternativi e distinti da quelli di Veltroni. Bersani non è d'accordo con la politica della terra bruciata a sinistra, ha appoggiato la scelta di Epifani di rompere con la Cgil e la Cisl, ha un progetto di partito diverso da quello di Veltroni. Grazie a questa coraggiosa mossa, ci verrà risparmiato l'ormai noioso spettacolo di una fetta della nomenklatura del Pd che "tifa" sotto sotto per una sconfitta elettorale in modo da poter fare uno sgambetto al segretario in carica. Se Veltroni perderà le europee -e le perderà- non dovrà dimettersi il giorno dopo, ma potrà continuare la sua battaglia sino al congresso già convocato per l'autunno. Là, si faranno i conti, quelli veri, e anche le primarie, finalmente, avranno un qualche senso.

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