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"La sinistra faccia un bagno d'umiltà"

Walter Veltroni

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L'autorevole editorialista de La Repubblica scrive che «la questione morale è solo un epifenomeno, un sintomo di un male strutturale. È, dunque, dalle fondamenta che bisogna partire, approfondendo l'analisi di Berlinguer». Ritengo anch'io che la questione morale sia il sintomo di un male strutturale. In quanto tale, si tratta di una questione generale, e non di uno strumento di lotta politica, come per lungo tempo è avvenuto. Addirittura, il termine di giudizio di una vera e propria superiorità morale di uno schieramento politico rispetto ad un altro. Le vicende di questi giorni hanno spazzato via questa falsa convinzione, ma non ancora i presupposti culturali e politici sui quali essa si fondava. Richiamarsi, come fa anche Pirani, alla lezione di Enrico Berlinguer rischia di essere fuorviante. La questione morale, infatti, nasce, oltre che da cause profonde legate ai caratteri fondamentali della nostra storia nazionale, dalla crisi del sistema politico e dalle permanenti difficoltà di completare la transizione verso una democrazia normale. Una democrazia normale postula sia una fisiologica alternanza alla guida del governo sia uno Stato restituito alle sue funzioni fondamentali: garante delle regole piuttosto che invadente gestore nell'ambito dell'economia. Enrico Berlinguer intravedeva giustamente una delle cause della corruzione nell'intreccio perverso tra lo Stato e il sistema dei partiti, da cui è derivato anche l'enorme debito pubblico che pesa sul nostro futuro. È paradossale, tuttavia, che non sia mai stata messa in evidenza l'enorme contraddizione fra queste tesi il fatto che l'ex segretario del Pci fosse nello stesso tempo il principale sostenitore dell'alleanza di governo con la Democrazia Cristiana, cioè di quel sistema successivamente definito consociativismo e abiurato dallo stesso Pci, e capo di un partito che fondava il proprio potere, soprattutto nelle regioni rosse del Centro Italia, sull'occupazione sistematica delle istituzioni pubbliche. Ancora oggi, la vera questione morale si pone a partire dalle regioni rosse dell'Italia centrale, in cui l'occupazione delle istituzioni da parte dei partiti della sinistra è divenuto un vero e proprio sistema di potere indistinguibile dalle stesse istituzioni pubbliche, fino al punto di rendere praticamente impossibile l'alternanza al potere da oltre cinquant'anni. Le regioni rosse sono così divenute un territorio nel quale la società civile è stata privata di ogni autonomia dal potere dei partiti fattosi stato. È forse uno dei pochi casi nel mondo in cui la dimensione dell'economia, l'ambito sociale e quello culturale sono interamente omologati al potere politico e amministrativo, gestito ininterrottamente dal dopoguerra ad oggi dagli stessi partiti e spesso dal medesimo personale politico. La mancanza di alternanza, e di conseguenza di ricambio di personale politico, e la parallela percezione di inamovibilità e di impunità, sono all'origine della questione morale che investe oggi soprattutto la sinistra nelle città e nelle regioni in cui governa da più tempo. La questione morale, tuttavia, tocca più direttamente e profondamente la sinistra anche per un'altra ragione. La sinistra, infatti, sempre con Berlinguer, ha brandito la questione morale come succedaneo di un rinnovamento che in realtà non è mai avvenuto. A dire la verità, l'uso della questione morale ha deviato la sinistra dalla strada maestra che avrebbe dovuto imboccare, a favore di una strada che era facile pronosticare sarebbe stata una strada cieca. Presunzione di essere depositari di una diversità morale, attribuzione ad una parte della magistratura del compito di rinnovare la società italiana, soprattutto contro gli avversari politici, identificazione del partito con le istituzioni statali, perseguimento del potere attraverso la conquista egemonica degli apparati culturali della società, istintiva e ineliminabile idiosincrasia per il socialismo democratico: sono tutti gli ingredienti che hanno condotto gli ex comunisti all'attuale disfatta politica. Per evitare di diventare veri socialisti e autentici riformisti, i comunisti italiani hanno preferito cavalcare Tangentopoli, ammantandosi di una pretesa superiorità morale, cercando di liquidare gli avversari politici e illudendosi di poter conquistare il potere senza «pagare dazio», come si usa dire. Questa scelta cinica e al tempo stesso disperata, si sta rivelando un errore per la sinistra stessa e un'occasione mancata per l'intero Paese. A molti anni di distanza da Tangentopoli, tutte le questioni all'origine dell'intreccio perverso tra lo Stato e il sistema dei partiti sono irrisolte, con l'aggravante che i partiti si sono dissolti lasciando lo spazio libero a fenomeni di immoralità e di corruzione legati anche alla debolezza dei partiti politici organizzati. È vero quello che sostiene Pirani sull'esistenza di una «razza partitocratica» che si è diffusa ed estesa nel corpo delle istituzioni politiche e nell'occupazione e gestione di ogni spazio pubblico e parapubblico. I professionisti della politica, come risulta da molte ricerche, sono aumentati considerevolmente, non diminuiti, dopo la nascita della cosiddetta Seconda Repubblica. Oggi più che nel passato, una rapace e per lo più incolta «razza partitocratrica» vive soltanto delle prebende derivanti dal potere politico, senza più essere educata alle passioni politiche e ai valori morali che i partiti tradizionali hanno avuto il merito di trasmettere ad una classe politica, locale e nazionale. E non è vero che questa proliferazione di un nuovo ceto politico parassitario, impreparato quanto privo di forti passioni politiche e ideali, sarebbe frutto, come ritiene Pirani, dei primi tentativi di realizzazione del federalismo, a partire dal titolo V della Costituzione. La diffusione, nelle forme attuali, di questa «razza partitocratrica» è precedente al federalismo. Nasce nel vuoto determinato dalla scomparsa dei partiti, a causa della sopravvivenza di un sistema statuale inestricabilmente connesso all'economia e infine alla mancata realizzazione di una democrazia normale. Essere passati da un estremo all'altro, come spesso avviene in Italia, cioè dallo strapotere dei partiti alla loro assenza, ha determinato più di un problema. Nel Sud, ad esempio, dove si concentrano gli effetti più drammatici di diffusa immoralità pubblica, il vuoto determinato dalla scomparsa dei partiti è stato praticamente occupato dalla criminalità organizzata. La soluzione a questi problemi spetta perciò all'intera classe politica italiana. Qui si misura la capacità dell'attuale classe dirigente di pensare al futuro dell'Italia: ad un Paese rinnovato nelle sue strutture politiche e istituzionali, modernizzato nel suo comparto economico e sociale. Per questo obiettivo serve una classe dirigente competente e moralmente integerrima, come ha ricordato il Santo Padre. La formazione di questa classe dirigente deve avvenire, come nel dopoguerra, attraverso molteplici agenzie di reclutamento e di selezione. Il mondo del lavoro, la società civile, le università e in ultimo anche i partiti. Partiti capaci di garantire al proprio interno decisioni e scelte improntate a regole democratiche.

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