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Bossi difende il dialogo E strapazza Berlusconi

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A Umberto Bossi la chiusura del premier al dialogo con l'opposizione non è andata giù. E non è in ballo il tema della giustizia. Bossi sa che rischia molto, molto di più. Sa che se salta il dialogo con Veltroni la riforma del federalismo va a farsi benedire, non si fa. E allora ogni volta che Berlusconi chiude la porta del dialogo Bossi si affretta a riaprirla. E non è un caso che in tutti questi mesi si sia sempre dato da fare per tenere in piedi un esilissimo filo di trattativa tra i due schieramenti. La Lega non ha certo cambiato pelle, non è certo diventata un partito dialogante e conciliante. Semplicemente segue un calcolo politico: per approvare una modifica ad un articolo della Costituzione — come accade con il federalismo — e non passare per le forche caudine del referendum popolare, occorre che la legge sia approvata in aula con i due terzi dell'assemblea. Perché avvenga serve dunque l'appoggio dell'opposizione. E non solo dell'Udc, che potrebbe essere più facilmente convinta, ma del Pd. Se questo non accadrà, e la maggioranza sarà costretta ad approvarla da sola, si dovrà per forza passare al referendum. E il precedente del 2006 non conforta certo Bossi. Così il leader della Lega ieri ha smesso gli abiti del ministro e ha indossato nuovamente la camicia verde della Padania. E ha spedito un messaggio di avvertimento al premier: «La dichiarazione di Berlusconi ci mette in grande difficoltà perché penso possa ritardare il federalismo. Ma io sono convinto che Berlusconi non voglia bloccare il processo federalista». E in serata, intervenendo al Tg1, è tornato a ribadire: «Il federalismo è al primo punto del governo, prima della giustizia». Il Cav è avvertito.

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