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La mia indignazione di fronte al modo di fare certa ...

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Oggi il mio intervento ha una forte motivazione morale. Lo so che parlare di morale oggi può apparire fuori luogo a molti osservatori della politica, ma io rivendico i valori morali, che sono patrimonio comune del nostro Paese, da recuperare ed evidenziare nella cultura italiana. Concordo pienamente col il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, «di fronte alla complessità delle sfide che abbiamo dinnanzi», afferma il bisogno «del massimo di coesione nel riconoscerci in un patrimonio comune di storia e di valori». Sono del tutto consenziente e ritengo che, tra le sfide prioritarie da affrontare, ci sia «l'emergenza educativa» e che la televisione in questo ambito abbia un ruolo molto importante, a volte addirittura decisivo. Popper rimproverava agli operatori televisivi di sottovalutare il loro compito educativo. Il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, in un recente convegno organizzato dal Consiglio nazionale degli utenti televisivi, ha parlato di «vuoto interiore dei ragazzi, causato da una comunicazione eccessiva, da un bombardamento di informazioni omologate e troppo concentrate sulla cronaca nera». I Tg e i programmi d'attualità affrontano sempre gli stessi argomenti, contribuendo a creare una Tv che interessa a pochi, autoreferenziale, in cui l'informazione diventa fiction. Siamo ancora lontani da una televisione formativa, pluralista e educativa. L'uomo pare sommerso da messaggi che lo lasciano completamente disorientato. Per questo bisogna utilizzare il mezzo televisivo in modo da creare, poco alla volta, senza scoraggiarsi, gli spettatori che sapranno giudicare e dire no al flusso ininterrotto di immagini. Mi rendo conto che il mezzo televisivo è condizionato da indici di ascolto e consensi sempre più difficili da raggiungere. È facile constatare che i programmi di maggiore successo sono quelli che usano i metodi, i linguaggi e i sistemi più semplici, di impatto immediato. Ma, per questo, è importante porre la questione di che cosa significhi fare televisione. Riconosco e lodo il ruolo culturale svolto dalla televisione nel dare una forte sensazione di appartenenza. Basti pensare al contributo che ha dato alla conoscenza della lingua. «Da cinquant'anni - scrive Aldo Grasso - la televisione inonda la nostra lingua di parole, conia modi di dire, influenza il nostro modo di esprimerci. E per quanto la si possa criticare per l'attuale decadimento e sciatteria dei programmi, non possiamo dimenticare che essa è stata la vera artefice dell'unità linguistica in Italia». La sfida che deve vincere l'autore televisivo è quella di offrire la cultura in maniera che non venga percepita solo come un fastidio o come una noia. La cultura non è un genere televisivo accessibile a pochi eletti. Si può capire che cos'è letteratura più da un buon sceneggiato televisivo che da una rubrica di libri; c'è probabilmente più poesia in uno spettacolo di Roberto Benigni che in una trasmissione sulla poesia. Ci può essere più arte in un buon film che in un documentario sui grandi musei del mondo. Cultura è anche un programma di varietà condotto bene e con una regia accurata. Cultura è satira politica che non sia militanza, ma intelligente ironia sui vizi del potere.

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