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Premessa: non sono un leghista e tantomeno un razzista. Sono ...

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Anch'io, nel mio piccolo, ho una colf filippina, di nome Ritchie, che non cambierei per nulla al mondo. In tutti questi anni, quando sulle pagine del giornale c'era da difendere un «vu cumprà», io ero sempre pronto a mettermi dalle parti di quelli che considero i più deboli. Eppure, ebbene sì anch'io ho firmato la mozione, approvata l'altro giorno alla Camera, che prevede l'inserimento graduale dei figli degli immigrati che non conoscono l'italiano e che hanno quindi bisogno d'ambientarsi nelle nostre scuole. Sono improvvisamente ammattito? Ho gettato al vento tutte le mie vecchie convinzioni? No, io sono sempre lo stesso. E allora? Bastava, forse, leggere con più attenzione il testo della mozione presentata. Una mozione che, in realtà non vuole togliere nulla ai diritti delle famiglie straniere e che, semmai, cerca di aiutarle. Ma nel nostro Paese, purtroppo, una certa cultura di sinistra (e non solo) tende subito a bollare per xenofobi qualsiasi testo o qualsiasi persona che tentano di cambiare le regole della convivenza, ormai insostenibile in tutta Europa, tra culture e nazionalità diverse. Ecco, allora, un gridare all'untore, un deflagrare di guerre ideologiche, un parlare di discriminazione, un agitare di fantasmi di lotta tipo «no alla caccia allo straniero», in nome di falsi miti e di false crociate, anche quando, in verità non ci sono. Sappiamo tutti, e lo sanno soprattutto gli insegnanti e i genitori degli alunni più piccoli, che non è facile adattarsi a bambini stranieri sempre più numerosi che non sanno neppure una parola d'italiano. I ragazzi stranieri non riescono ad amalgamarsi e si isolano, ogni giorno di più mentre gli alunni italiani debbono logicamente marciare con ritmi più lenti per cercare di non perdere per strada gli altri. Proprio in questi giorni viene proiettato nelle sale cinematografiche un film francese, «La classe» che ha avuto un grande successo al festival di Cannes e che documenta in modo inequivocabile le difficoltà insormantabili di un giovane insegnante del 2008 che deve lavorare in una classe multirazziale: qualsasi possibilità di dialogo svanisce quasi subito anche per un bravo professore animato dalle migliori intenzioni. Proprio per superare tali muri di Berlino (questi sì veri apartheid), sono state ipotizzate, quando occorrre, classi di inserimento, magari in inglese, per i bambini stranieri che possono imparare la lingua italiana ed avere la formazione di base, in modo da poter poi integrarsi abbastanza agevolmente con i loro compagni italiani. Come rileva Valentina Aprea, presidente della Commissione Cultura e Istruzione della Camera e di Forza Italia (anche il sottoscritto ne fa parte), si può partire in modo sperimentale con le classi di inserimento, proprio perché non si può continuare a scaricare sui docenti la responsabilità di un'integrazione sempre più difficile ed ingovernabile. Tra l'altro, i contenuti della mozione approvata alla Camera sono stati studiati da insegnanti di area cattolica che hanno verificato come proprio le classi multirazziali rischiano di essere, paradossalmente, le più razziste. E, allora, dove sta lo scandalo? Bisognerebbe davvero che tutti (anche qualche cardinale e qualche sindaco di centrodestra), si documentassero di più prima di parlare.

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