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Che sia Obama o McCain, il nuovo presidente degli Stati ...

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La caduta di prestigio e le difficoltà economiche della superpotenza avranno ripercussioni in tutti i campi: Washington avrà più difficoltà a imporre la sua visione del mondo, disporrà di meno risorse da distribuire anche in aree cruciali come il Pakistan e il Medio Oriente, potrebbe essere perfino costretta a ridurre per qualche tempo le sue spese militari. Nonostante gli ingenti stanziamenti già decisi per fronteggiare la frana delle banche, nessuno è ancora in grado di calcolare l'impatto della crisi sul bilancio federale e soprattutto sull'ammontare del debito pubblico, ma una cosa è certa: quando si ritroverà a fare i conti una volta calmate le acque, il nuovo inquilino della Casa Bianca sarà costretto — volente o nolente — a rivedere gli impegni di un Paese che, dopo la caduta del Muro, ha creduto di potersi erigere a poliziotto del mondo: e, con questa inevitabile ritirata strategica, segnerà anche la fine definitiva dell'unilateralismo bushiano. Chi occuperà gli spazi che gli Stati Uniti saranno costretti a liberare? In queste convulse giornate l'Europa ha cercato di fare la sua parte, grazie anche alla fortunata circostanza di essere temporaneamente guidata da un personaggio come Sarkozy. Ora che i dissidi transatlantici di inizio millennio appaiono superati, la piena ricostituzione del sodalizio dell'era bipolare potrebbe aiutare a limitare i danni nella difficile fase che ci attende. Ma fino a quando l'Unione non migliorerà i suoi meccanismi decisionali difficilmente riuscirà da un lato a mantenere un fronte comune contro lo tsunami e dall'altro a esprimere quella politica estera e di difesa comune necessaria per affiancarsi efficacemente a un'America indebolita nella gestione delle crisi internazionali. Molti temono che, parallelamente al declino della potenza americana, si profili un rafforzamento della Russia, della Cina e di altri Paesi al di fuori dell'influenza occidentale, ma neppure questo appare molto probabile. La crisi, infatti, non risparmierà nessuno, né Mosca che dipende in larga misura da una rendita petrolifera già quasi dimezzata rispetto a tre mesi fa, né Pechino che dovrà rassegnarsi a un drastico calo delle esportazioni. Certamente la recessione favorirà quei Paesi che, negli ultimi anni, hanno accumulato grandi riserve valutarie, ma nessuno sembra animato da grandi ambizioni politiche. Ci avviamo, perciò, verso un'era multipolare, in cui peraltro anche i nuovi protagonisti saranno occupati a leccarsi le ferite.

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