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Linea dura? Non l'ha scelta Emma, ma l'Italia che cambia

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Non che fratture clamorose non si siano mai verificate nel passato, ma stavolta si giunge a ciò quando ancora ci si trova in una fase preliminare, e non al termine di defatiganti negoziati. Tale cambio di scenario nel rapporto tra gli imprenditori e il sindacato si spiega in vari modi. In primo luogo in viale dell'Astronomia ci si rende conto che l'economia italiana sta crollando e che quindi è irragionevole accettare ricatti da parte chi non vuole mutare nulla. Se vuole restare nell'area occidentale, il Paese ha bisogno di aprire il mercato del lavoro e riconoscere il ruolo delle imprese, ma proprio per questo non è ammissibile che la parte più ideologizzata e conservatrice del sindacalismo italiano mantenga un diritto di veto. Mentre Wall Street sprofonda, il tasso di crescita del Paese è nullo e all'orizzonte vi sono molte nuvole scure, continuare a ballare il minuetto con quanti vedono nei padroni un «nemico di classe» rischia solo di accelerare la disfatta del sistema produttivo. La scelta della Marcegaglia ha inoltre implicazioni strategiche: come risulta evidente dalle reazioni (di fatto positive) di Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, disposti a proseguire la trattativa. Sia la Cisl che la Uil comprendono bene che nel nuovo scenario esse possono giocare un ruolo potenziato, e che a questo fine può anche essere utile spezzare la gabbia della Triplice, offrendo uno spazio pure all'Ugl di Renata Polverini, alla guida di un sindacato storicamente legato a quell'area politica che fu missina. Il radicalismo di Epifani, che deve fare i conti con correnti fortemente «antagoniste» nei riguardi del capitalismo e che subisce forti pressioni pure dal partito democratico, di fatto favorisce chi punta a disegnare un quadro nuovo per le relazioni industriali italiane: e in questo senso sembra dare ragione pure al ministro Maurizio Sacconi, che nel corso della battaglia su Alitalia ha perseguito il disegno di una riduzione del peso della Cgil. Il sindacato social-comunista, già guidato da Giuseppe di Vittorio, dichiara di avere più di 5 milioni di iscritti, ma è bene ricordare che una parte rilevante sono pensionati e dipendenti pubblici. Questo significa che l'organizzazione che un tempo rappresentava i braccianti e ancor di più gli operai, e che per questo si considerava espressione del ceto dei produttori, oggi in realtà è composta soprattutto da quanti dipendono in un modo o nell'altro dalla spesa pubblica, e per questo motivo sono portati ad avversare quei cambiamenti di cui l'Italia ha più bisogno. Con una Cgil così è difficile immaginare autentici cambiamenti, e questo spiega la scelta piuttosto drastica compiuta da chi - una volta tanto - ha finito per perdere la pazienza.

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