Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Visita alla comunità ebraica tra storia, politica e ricordi

default_image

  • a
  • a
  • a

La visita segue di poche ore le parole del sindaco Alemanno e del ministro La Russa sul fascismo, parole che hanno riaperto alcune crepe nel rapporto tra gli ebrei italiani e la maggioranza di governo. Le polemiche però sono alle spalle, l'incidente sembra superato e gli effetti non paiono troppo gravi. Pacifici getta acqua sul fuoco, pur restando irremovibile sulle posizioni di sempre. Il ministro conferma gli ottimi rapporti di tutto l'esecutivo con la comunità. Si entra in sinagoga, costruita ai primi del '900 su iniziativa del governo piemontese. Iniziativa non priva di tono polemico verso il Vaticano: proprio Brunetta ricorda che lo stesso intento spiega la sontuosità dei palazzi di governo che sorgono in quegli anni a via XX Settembre e nel quartiere Prati: il loro scopo è quello di superare in imponenza i palazzi storici della Roma rinascimentale, munendoli di un vasto apparato simbolico d'ispirazione massonica (riflessione che Brunetta ha sentito dal collega ministro Giulio Tremonti). Ascoltiamo le parole della direttrice del museo, che ci illustra i bellissimi paramenti in tessuto conservati gelosamente e le numerose iscrizioni funerarie che ci parlano degli oltre 22 secoli di presenza ebraica nella città di Roma. Brunetta ascolta ed interrompe spesso con domande ed osservazioni, mescolando la sua curiosità con quel piglio da professore che raramente lo abbandona. Quando Daniela Di Castro (la direttrice del museo) racconta del periodo più difficile (fascismo a parte) vissuto dalla comunità, cioè quello successivo alla riforma protestante, il ministro fa uscire il veneziano doc che c'è dentro lui e dice: «da noi andava molto diversamente», ricordando la storica tolleranza della Serenissima verso gli ebrei, perfettamente integrati in città ben al di là delle disposizioni ostili provenienti da Roma. I ricordi del ministro vanno spesso alla sua città, mescolando ricordi storici (come l'attentato a Paolo Sarpi, cui certamente non fu estranea la curia romana) e ricordi personali, comprese le dieci stagioni estive trascorse lavorando con papà alla bancarella di souvenirs collocata alla Lista di Spagna, non troppo lontano dalla stazione ferroviaria. Brunetta descrive con un pizzico di malinconia quel padre orgoglioso del figlio, già laureato, che lo aiuta verso sera a rimettere «il negozio» nel deposito per la notte, tornando con la memoria fino alla difficile manovra cui costringere il carretto per farlo entrare nel posto assegnato. Il professore di economia è però sempre in agguato: ecco allora affiorare la notizia che la bancarella orginale era di penne stilografiche, poi spazzate via dal mercato dall'introduzione di quelle a sfera. Per l'intera visita il clima è molto sereno, quasi come se l'asprezza della battaglia politica venga lasciata fuori dalla porta per tacito accordo fra tutti i presenti. Certo la serietà del luogo non lascia spazio ad allegrie fuori tema. Davanti alla divisa a righe di un ebreo sopravvissuto ai campi di steminio occorre riflettere, anche adesso che sono passati sessant'anni. Prima di raggiungere la cena c'è spazio per una denuncia. Senza fare nomi Pacifici segnala al ministro che diverse persone in comunità hanno ricevuto richieste «improprie», diciamo così, per completare l'iter burocratico di alcune pratiche di assegnazione di risarcimenti economici che spettano per legge ai perseguitati politici. Brunetta chiede di riceve un dossier dettagliato e promette un intervento immediato. Se fossi nei funzionari che hanno provato a fare i furbi non dormirei troppo tranquillo. La serata finisce a tavola. Ci sono i piatti della tradizione ebraica romana, c'è Titti, spiritosa compagna del ministro che ha «debuttato in società» al ricevimento al Quirinale. Lei lo guarda con affettuosa complicità e sussurra all'orecchio del cronista: «speriamo che questa mania della dieta gli passi presto».

Dai blog