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Ormai Tonino ha divorato Walter

Di Pietro e Veltroni

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L'inqualificabile show dipietrista-girotondino è figlio della sua superficialità politica, oltre che della incapacità di scegliersi i compagni di viaggio. Che poi i «sovversivi» in sedicesimo, comici di bassissima lega anche quando tentano di fare qualcosa che assomigli alla politica, si siano rivelati i suoi più implacabili detrattori, è affar suo. In un certo senso se l'è voluta poiché non ha mai preso le distanze da quella cultura giustizialista riportata agli antichi fasti da Di Pietro al quale, come si ricorderà, alla vigilia delle elezioni fece un'apertura di credito a dir poco sconcertante, fino a consentirgli di diventare quel che è: il padrone dell'opposizione, il «carceriere» del Pd. A Veltroni non resta che raccogliere i cocci. Forse finalmente ha capito che la manifestazione romana è stata organizzata contro di lui; può darsi che qualcuno gli abbia detto chiaro e tondo che le strategie politiche è meglio che le lasci fare agli altri; è probabile che nel loft sia salita talmente l'indignazione che il discusso leader piddino davvero mediti un lungo viaggio espiatorio in Africa. Comunque sia, oggi è uno sconfitto. Ha permesso ad un arruffapopolo privo di cultura politica, sprovvisto di progetti e programmi, demagogo da basso impero di mobilitare una rumorosissima minoranza al fine di candidarsi a prendere il suo posto. Insomma, Veltroni si è fatto letteralmente divorare da Di Pietro dopo avergli regalato una lussuosa rendita politica. E lui, scafato come pochi, ha ringraziato a modo suo: costringendolo ad inseguirlo sul terreno del radicalismo, della volgarità, dell'insulto. Veltroni, naturalmente, adesso, a frittata fatta, cerca di smarcarsi. E lo fa rivelandosi ancor più maldestro di quando s'è messo in società con l'ex-pm. Denuncia la rottura del dialogo con la maggioranza; riscopre l'antiberlusconismo più vieto e stantio; annuncia improprie ed inutili manovre ostruzionistiche e finisce per accusare il presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, di espropriare le funzioni del Parlamento, per il semplice fatto di aver calendarizzato in tempi rapidi il cosiddetto «lodo Alfano». Fini non ha fatto altro che attenersi alla prassi seguita dai suoi predecessori Violante e Casini. Il secondo gli ha dato atto di aver agito correttamente. Se il segretario del Pd scrivesse qualche prefazione in meno e leggesse un po' di più il regolamento della Camera, non si esporrebbe a figuracce del genere. Ma tant'è. Ormai è nel pallone. Perfino nel suo partito viene apertamente contestato. L'insofferenza di D'Alema è nota; quella di Parisi e degli ulivisti doc pure. Ci dispiace, sinceramente. Pensavamo che con lui alla guida della sinistra il confronto con l'opposizione sarebbe stato possibile e proficuo. Ma imbarcando Di Pietro ha rivelato la sua vera natura. Sotto il buonismo (finto) non nasconde niente. Al massimo l'ingenuità che in politica non è una dote.  

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