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Anna Finocchiaro, la Carfagna della sinistra

Napolitano e Finocchiaro

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Illusioni. Sussurri. Insomma, è partito uno degli sport nazionali preferiti da politic e giornalisti: «il tiro a piccione sulle donne in politica». Indubbiamente molto diffuso e praticato fra gli uomini opinionisti, deputati e senatori. La colpa di Mara non è quello di aver scritto una legge sbagliata. No, per carità. Non conta nulla quello che fa, per esempio un disegno di legge per contrastare la stalking (che il precedente governo non riuscì a fare) o un disegno di legge contro la violenza sulle donne. Conta quello che è stata Mara Carfagna. Il passato di soubrette Tv e di apprendista ancora acerba in politica (sebbene ormai se ne occupi da otto anni e sia parlamentare alla seconda legislatura) offre facilmente il fianco ai toni offensivi, da caserma che le sono stati riservati. A destra come a sinistra la musica non cambia. Nessuna è esente, per lo strisciante e mai sopito maschilismo annidato in politica, capace di colpire in modo sofisticato e mascherato bersagli insospettabili per storia e percorsi, autorevolezza, esperienza e capacità. Come dimostrano i corrosivi corsivi, del Riformista e di Libero o i taglienti interventi di Marini, Macaluso e Pasquino, su Anna Finocchiaro che, presiedendo i senatori dell'Ulivo poi Pd, nel sempre incerto governo Prodi. Aveva attirato molte lodi, anche di Berlusconi «nonostante fosse una donna» e che sono diventate critiche feroci dopo la pesante sconfitta siciliana, fino a suggerirle di fare un passo indietro e mettere in bilico la sua riconferma a capogruppo al Senato. Un trattamento non riservato a Francesco Rutelli, duramente battuto nel duello per Roma. Due vicende speculari, con doppia candidatura alla Camera per l'uno, al Senato per l'altra, ma in questa Emanuele Macaluso, storico opinionista di sinistra, avverte «profumo di provvisorietà e indifferenza per le sorti della Sicilia» e ritiene che «Anna avrebbe dovuto dare prova di forza e minacciare di volere restare e fare opposizione». Rutelli al Campidoglio vi è rimasto, traghettandosi intanto alla guida del Copasir, il comitato parlamentare che controlla i servizi segreti, e «rivelando palpabili ambizioni di ex leader alla ricerca di un ruolo» come sottolinea Enzo Carra, deputato Pd fdi provenienza margheritina. «È vero- ribatte Macaluso - che Rutelli è stato un bravo sindaco, ma la perdita di Roma per il centro-sinstra è più grave della debacle siciliana. Per la risistemazione di un gruppo dirigente Pd, immarcescibile, hanno messo in scena, per quindici anni, il valzer delle poltrone e gli elettori li hanno puniti». «In Sicilia con un Pd fatto di partiti residuali - prosegue Macaluso - incapace di esprimere un'egemonia politica e culturale forte, da quando il Pci si consegnò al mix di giustizialismo e populismo di Leoluca Orlando, si è finito per praticare una concezione localistica del ras di turno. Non poteva che entrare in crisi di fronte all'affermarsi del blocco sociale ed economico del "cuffarismo"». «Il risultato: un quadro dirigente molto debole e un consenso sempre più assottigliato», rimarca Giovanni Burtone, Pd, che ha apena provato la scalata alla città di Catania. «Una Sicilia che da anni non esiste più negli organigrammi dei partiti, non è rappresentata nei governi ed è assente anche dal "governo-ombra" - rileva il rettore della Kore di Enna, l'ex minisrro Salvo Andò - la corsa di Anna alla poltrona di Governatore poteva indicare un rinnovato interesse dei dirigenti nazionali per un nuovo progetto di sviluppo del meridione e per rafforzare e dare spessore al quadro locale. Così non è stato. Lasciata sola, non è stata aiutata dalle liste colonizzatrici, calate da Roma. Si è perso. Ma non si può chiedere ad Anna una coerenza politica ed etica che non vale per gli uomini. Dalle donne si pretende la perfezione, ma non è giusto». «Non era necessario che rimanesse per fare oposizione» - ribatte l'ex margheritino Burtone. «Può lavorare a costruire il Pd a partire dal rinnovamento dei quadri locali, magari in veste di segretaria regionale», suggerisce una sindacalista Cgil dell'isola. Anche D'Alema alla fine le aveva preferito Bersani, in nome della realpolitik e non della rappresentanza del femmineo. Con quel ruolo può alimentare l'immaginario collettivo, da donna «icona politica» intanto che le parlamentari new entry maturino e si smetta di parlarne solo nei gossip boccacceschi.

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