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È importante, è giusto che una nazione sia orgogliosa di se ...

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Berlusconi, con consumata furbizia, durante la campagna elettorale ha gettato sul tavolo del confronto politico l'asso dell'orgoglio nazionale, affermando che un Paese come l'Italia non può cedere la propria compagnia di bandiera ad «altri» e comunque mai e poi mai ai cugini francesi, nostri eterni rivali nella moda, nella gastronomia, nell'arte, nella cultura e nel calcio. Dare Alitalia «a loro» sarebbe stato come ricevere di nuovo una testata da Zidane. Visti i risultati elettorali del 13 e 14 aprile, la mossa è stata azzeccata. Aver fatto fuggire Air France senza alternativa e a fronte di un'ancora invisibile cordata italiana, è stato in realtà il vero colpo mortale per la nostra compagnia di bandiera. Aver osteggiato il processo di privatizzazione trasparente portato avanti con coraggio dal governo Prodi ha ridotto Alitalia ad una S.p.a. svalutata in Borsa, che perde ogni giorno 1,3 milioni di euro. Chiunque capirebbe che in un sistema di mercato globalizzato e nell'attuale quadro economico-industriale europeo non può avere successo una politica protezionista e populista. Non a caso nessuno ha sventolato il Tricolore su altri asset economici, ugualmente strategici. Basti pensare alla vendita di Omnitel, poi di Wind, quindi Telecom e ora di Tiscali, tutte acquisite da capitali stranieri. Né ad esempio i tedeschi hanno mai pensato di ricostruire il «muro» per bloccare le acquisizioni di Unicredit, e né gli americani o gli inglesi hanno deciso di chiudere le loro ricche «vetrine» quando Luxottica ha rilevato la Ray-Ban e il gruppo Benetton ha comprato a Londra la W. Duty Free. Il vero orgoglio nazionale non può essere quello di facciata invocato nei comizi, ma è rappresentato dalla capacità di garantire al Paese l'interesse della propria comunità. Invece, Tremonti passa dalla stravagante scelta di trasformare in «patrimonio» i 300 milioni di euro del prestito ponte, alla decisione di adottare procedure straordinarie per Alitalia dando vita così ad una trattativa privata che con una semplice delibera del Consiglio dei ministri affiderà ad Intesa San Paolo il ruolo di advisor. Ma questo prestigioso gruppo bancario non era in cordata con Air One, alternativa proprio ad Air France? Un provvedimento che fa sorgere il pesante dubbio che sia stata individuata una soluzione forse più utile agli interessi di alcuni, e non del Paese. Peraltro tutto questo accade mentre si fa discutere il Parlamento - in maniera surreale - sul vecchio prestito concesso da Padoa-Schioppa. La soluzione Alitalia ha bisogno di un vero cambio di passo. È necessario un Piano industriale concreto, capace di interessare i mercati finanziari e gli imprenditori, di responsabilizzare le forze sindacali e soprattutto di liberare le forze politiche dagli interessi di parte e dai localismi. Il Pd, con Veltroni, ha offerto per le questioni centrali la disponibilità al dialogo e alla collaborazione. È giunta l'ora per il governo, dopo gli annunci e i fuochi d'artificio, di avere il coraggio della verità. Si fermi questo anacronistico dibattito parlamentare, venga Berlusconi alle Camere per riferire sull'esatta situazione e offra una concreta Piattaforma comune di lavoro per Alitalia e sull'intero sistema del trasporto aereo nazionale. L'Italia, per tornare a volare, ha bisogno di due ali: soltanto con quella della maggioranza, è evidente che non si va lontano. * Deputato Pd

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