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Un sì col naso tappato

Padoa Schioppa

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L'Unione,con i suoi 158 senatori eletti, trema. Poi, la mattina decisiva, qualcuno lascia intendere che potrebbe non votare. Le diplomazie entrano in azione. Arrivano i senatori a vita e la maggioranza supera lo scoglio. Anche stavolta è andata così. I voti di fiducia sono due e riguardano la Finanziaria (un terzo ci sarà stamattina mentre stasera o domattina si dovrebbe votare il testo blindato sul welfare). Si parte da 157 pari. La Cdl può contare sul dissidente Franco Turigliatto ma, in mattinata, intervistato da Il Giornale, Lamberto Dini annuncia: «Se il governo non avrà i voti non chiamateci traditori». La paura dura lo spazio di un paio d'ore. A pranzo, in un Transatlantico deserto, un senatore ulivista commenta ironico: «È il teorema Dini. Si dichiara insoddisfatto, ma poi vota». Finirà così ma, stavolta, a «turarsi il naso», non sono solo i diniani e i soliti Willer Bordon e Roberto Manzione. Non è l'ormai noto Fernando Rossi. Stavolta la pattuglia di quelli che dichiarano chiusa l'esperienza del governo guidato da Romano Prodi tocca «quota 10». Le new entry sono il gruppo del Partito socialista (Angius, Montalbano, Barbieri) e l'ex margheritino Domenico Fisichella. Con toni diversi ognuno dice sostanzialmente le stesse cose. «Con questo voto di fiducia consideriamo conclusa una fase delle vita politica nazionale» (Natale D'Amico, diniano). «Da gennaio ogni forza politica dovrà dichiarare le sue vere intenzioni» (Roberto Manzione, unione democratica). «Oggi prevale la lealtà politica, dal nuovo anno prevarrà il merito» (Roberto Barbieti, socialisti). «Dico sì alla fiducia come puro espediente tecnico per evitare l'esercizio provvisorio ma il rapporto di fiducia con il governo è esaurito» (Fisichella). Insomma, a gennaio, l'Unione non avrà più una maggioranza. Sarà per questo che, interrogata a margine dei lavori dell'Aula, il capogruppo del Pd Anna Finocchiaro, pur ostentando sicurezza, avverte: «Mi aspetto una svolta nell'azione di governo da gennaio». Che tradotto vuol dire: occorre correre ai ripari. Anche se Clemente Mastella, molto più tranquillamente, ammette: «Ci sono angosce esistenziali che non sono valutabili politicamente. In questa situazione sarebbe meglio andare al voto. Il vertice del 10 gennaio? Se ci sfilacciamo prima ha poco senso». Questo il senso di una giornata che, per il resto, ha seguito la solita sceneggiatura. Il governo ha superato lo scoglio della fiducia con 163 voti contro i 157 (nella prima votazione) e i 156 (nella seconda, perché Baccini non è arrivato in tempo per votare) della Cdl. Decisivi, ancora una volta, i sì dei sei senatori a vita presenti (Montalcini, Colombo, Cossiga, Scalfaro, Ciampi e Andreotti). È l'undicesima volta che succede a Palazzo Madama, ma c'è chi giura che, da gennaio, non accadrà più.

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