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Il giorno dopo la mancata «spallata» al Senato, dentro ...

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L'organo ufficiale che quotidianamente, per conto di Silvio Berlusconi, traccia la linea del partito. Sotto il titolo «La Finanziaria passa, l'Unione si scioglie», gli uomini del Cavaliere analizzano il day after e non risparmiano critiche. Anzitutto a Gianfranco Fini, Pier Ferdinando Casini e Roberto Maroni («ma non Bossi» sottolinea il Quaderno). «Chi - scrivono - crede che da oggi convenga trattare sulla legge elettorale e su impossibili riforme costituzionali per giungere a elezioni anticipate non ha valutato due cose essenziali. La prime è che il dibattito sulle riforme è l'alibi che dà fiato al governo; la seconda è che discutere di legge elettorale, argomento di onanismo mentale del solo ceto politico, suscita il disgusto degli italiani nei confronti di tutta la politica, non del solo governo». A questo punto tocca agli alleati. «Già in passato Fini - continua il Quaderno - è rimasto affascinato dai referendum elettorali e dall'alleanza con Mario Segni. Furono i pochi voti raccolti alle europee del 1999 a risvegliarlo dall'illusione». Tocca a Casini: «Già in passato ha coltivato la speranza di un nuovo centro. Ma quello che non è riuscito a Cossiga con la sua UdR non può certo riuscire a Dini». Infine Maroni: «Già in passato spinse a fare della Lega una costola della sinistra, come se la costola potesse sopravvivere al morto». La conclusione è netta: «La seconda Repubblica non sarà tanto meglio della prima. Ma una differenza c'è, non si può fare politica nel Palazzo indifferenti al consenso dei cittadini. Una differenza che, fin'ora, ha compreso solo Berlusconi».

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