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I chirurghi delle bombe, specialisti in mimetica

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Soldatiche scelgono un lavoro ad alto rischio: stare a tu per tu con bombe insidiose e devastanti. Questi uomini, con la sensibilità di un chirurgo rendono inoffensive con le loro mani, bombe tradizionali ma sempre più spesso con complessi strumenti di morte come avvenuto nei teatri di operazioni in Bosnia, poi in Iraq e ora in Libano e Afghanistan. Lavorano generalmente in coppia. Altre volte in squadre. Partecipano alle pattuglie lungo le polverose strade afghane. Sono sempre loro, gli Eod, acronimo anglosassone per Explosive Ordnance Disposal,che insegnano agli altri militari impegnati come comportarsi quando lungo la strada c'è qualcosa di sospetto. E sono loro che vanno nelle scuole afghane e libanesi a insegnare ai bambini a riconoscere oggetti apparentemente innocui ma mortali. Specialisti di prim'ordine che nascono professionalmente a Roma alla Cecchignola. Il nome della scuola evoca ben altri scenari si chiama infatti «Centro addestramento contro ostacolo» dell'Esercito. È qui che l'Esercito prepara gli specialisti alla lotta agli ordigni esplosivi improvvisati (Improvised Esplosive Devices, Ied). Secondo il Dipartimento della Difesa Usa, gli Ied hanno causato circa l'80% delle perdite del personale statunitense impiegato nel teatro operativo iracheno dall'inizio delle operazioni. Il loro lavoro non si ferma laggiù. Le nozioni apprese nei teatri internazionali sono poi riversate in Italia a tutti gli operatori della sicurezza. Presso il centro infatti si tengono corsi di qualificazione per uomini e donne delle Forze Armate, di polizia e carabinieri. «Per diventare operatore di I e II livello si segue un corso di 12 settimane - spiega il colonnello Riccardo Arcione, comandante del Centro addestramento - Questo periodo serve per prepara i militare a operare sul munizionamento classico nazionale e estero». Dopo tre anni si può accedere al livello superiore quello dell'«anti sabotaggio» che consente di prendere confidenza con bombe improvvisate come quelle di Unabomber o dei terroristi anarchici e jihadisti. E qui scende in campo non solo la tecnica ma anche la psicologia. «Si insegna a entrare nella psicologia criminale - spiega il colonnello Arcione - Entrare nel filo logico della fantasia di chi ha preparato l'ordigno vuol dire salvare vite e impedire stragi. Dobbiamo imparare a entrare in sintonia con il pensiero del terrorista».

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