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Il compromesso potrebbe essere raggiunto su un «fine missione» entro dicembre 2008

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Le posizioni sono ancora molto distanti ma i «moderati» dell'Unione sono fiduciosi: alla fine si troverà un accordo. «Le probabilità che il governo ponga la fiducia sul decreto di rifinanziamento della missione italiana sono del 50%, non pensiamo che i voti del centrodestra siano determinanti e crediamo ci sia la possibilità di arrivare a una formulazione unitaria - fa sapere un esponente di rilievo della coalizione di centrosinistra - Forse bisognerà fissare una data. Un termine, però, che sia il più lontano possibile, come ad esempio la fine del 2008, quando i compiti più importanti dell'Isaf saranno praticamente esauriti». Una data. Dietro la richiesta di «discontinuità» dell'ala radicale, c'è infatti un problema di numeri. Prodi ha assicurato che l'Italia promuoverà una conferenza internazionale per trovare una «soluzione politica» alla crisi del Paese asiatico e ha parlato anche di lotta al traffico di oppio afghano. D'Alema ha chiesto un cambio di strategia e ha annunciato l'aumento dell'impegno civile. Ma questo non è bastato ai ribelli del «triumvirato» Prc-Verdi-Pdci. Anche il ministro dell'Ambiente tra le sue condizioni per un «sì» al rifinanziamento (più soldi per la cooperazione, contrasto alla produzione di droga, conferenza di pace entro ottobre) ha messo un «calendario per il progressivo ritiro dei militari». Gli ha fatto eco il senatore del Prc Franco Turigliatto, secondo il quale la «svolta» sarebbe rappresentata dalla «calendarizzazione dell'uscita dei soldati italiani. Questa - spiega - sarebbe una via d'uscita vera, il resto sono solo cose formali». Una richiesta che giunge perfino dalla sinistra Ds: «La strage di questa notte conferma che la situazione in quel paese non è sostanzialmente diversa da quella irachena - afferma il vicepresidente del Senato Cesare Salvi - Allora è troppo chiedere che almeno si fissi il termine finale per la missione?». Da altri rappresentanti dell'ala radicale giungono «proposte» diverse ma ugualmente pressanti. Il responsabile Esteri del Pdci Iacopo Vernier vorrebbe che il governo predisponesse, coerentemente agli impegni presi nel programma dell'Unione, un decreto specifico sulla missione Afghanistan separato da quello che deve autorizzare tutte le altre missioni internazionali». Il capogruppo del Prc a Palazzo Madama mette in guardia Prodi sui voti della Cdl: «Nel voto sull'Afghanistan sarà essenziale l'autosufficienza della maggioranza», avverte Giovanni Russo Spena. «Un'approvazione dovuta al voto determinante dell'opposizione, o di una parte dell'opposizione, non comporterebbe automaticamente la caduta del governo, ma la conseguenza di un simile voto sarebbe inevitabilmente il logoramento e il venir meno della coesione all'interno della maggioranza». Un atteggiamento, quello dell'estrema sinistra governativa, che ha trovato una sponda in un sondaggio eseguito per conto del quotidiano «La Repubblica». Il risultato? Il 56% degli Italiani è favorevole al ritiro: tra questi, il 64% degli elettori del centrosinistra e il 45% del centrodestra. Per la senatrice di Rifondazione Lidia Menapace è «il dato conferma che tra l'Unione e la sua base elettorale c'è uno scollamento». Secondo il responsabile Esteri dello stesso partito, «dimostra come la questione posta dal Prc e dal mondo pacifista sulla necessità di un cambiamento di rotta sull'Afghanistan non sia un capriccio estremista ma un'aspettativa di gran parte del popolo italiano e dell'Unione». Ma la politica non si fa (solo) con i sondaggi. Anche perché una campionatura sullo stesso argomento elaborata per conto de «Il Giornale» ha dato esiti diversi: il 67,4 degli italiani si dichiara favorevole alla permanenza dei nostri soldati in Afghanistan fino a che la situazione non sarà considerata stabile. Una prima «vittoria» il «triumvirato» l'ha raggiunta: il decreto sul rifinanziamento non sarà presentato al consiglio dei ministri di domani. Intanto, la trattativa va avanti. Prodi sa che se il decreto

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