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Sono rimasti fuori dalla discussione tutti i temi più scottanti, dalle pensioni ai Pacs

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Bensì che cosa «non fare». Il governo al gran completo, con anche i segretari dei partiti di maggioranza. Una trentina di big seduti al tavolo, per decidere. Anzi, per scegliere su che cosa non decidere. Già prima dell'avvio, negli ultimi giorni prima del vertice di Caserta, la riunione era stata smontata pezzo a pezzo. Erano stati smorzati gli argomenti che avevano fin qui creato maggiori divisioni, divergenze, dissidi. Durante l'incontro invece i temi che hanno tenuto sulle spine il centrosinistra sono stati di fatto eliminati, rinviati sine die. E anche quelli sui quali esisteva almeno una tabella di marcia, questa è stata dilatata, allungando le tappe intermedie fino a far sparire all'orizzonte la linea dell'arrivo. Il nodo più spinoso era quello delle pensioni. Il centrosinistra ha scritto nel suo programma che ha intenzione di togliere lo scalone, ovvero il passaggio da 57 a 60 anni per l'età pensionabile che entrerà in vigore nel 2008. E questa è l'unica certezza. Per il resto i Ds in primis, con il loro ministro Cesare Damiano, avrebbero voluto un intervento complessivo che rivedeva l'intero settore della previdenza. E che avrebbe provocato, nel medio termine, un ulteriore innalzamento dell'età pensionabile. Soluzione che non piace a Rifondazione comunista e tanto meno ai sindacati, a cominciare dall'organizzazione più vicina alla Quercia: la Cgil. Fassino ha provato domenica scorsa ad alzare la voce minacciando «o riforme o morte». Per la seconda c'è da attendere, le prime certamente non si sono viste e anche la delegazione del suo stesso partito, guidata da Massimo D'Alema che è pur sempre il presidente dei Ds, gli ha chiesto di moderare i termini. Al termine del summit che cosa resta delle pensioni. Spiega Prodi: «È sbagliato parlare solo di pensioni», anche perché «le riforme vanno fatte in modo organico». Che è un modo gentile per dire che non si fanno. Tanto è vero che lo stesso premier aggiunge: «Abbiamo bisogno di approfondire, non bastano certo due settimane». Sembra saltare persino la tabella di marcia fissata a settembre che prevedeva l'avvio delle riforme a gennaio con la chiusura della discussione a marzo. Prodi allarga il discorso: «Il confronto con le parti sociali partirà subito, non solo sulle pensioni ma su tutto lo stato sociale. Si aprirà infatti un tavolo per la verifica e la modernizzazione dello stato sociale, quindi un quadro generale di riforma. I tempi saranno accelerati il più possibile. Se non si chiuderà il 31 marzo sarà qualche tempo più in là». Dalle pensioni alle liberalizzazioni il quadro non cambia. Le vogliono fortissimamente sia i Ds che la Margherita. Tanto fortemente che sia uno che l'altro partito non vogliono lasciare all'alleato il marchio di primogenitura. E così il partito di Rutelli frena il ministro diessino Bersani che procede a tambur battente su tutti i fronti: mercato più libero per i telefonini, ma anche per le pompe di benzina. La Margherita si mette di traverso ai Ds e Rifondazione mette i bastoni tra le ruote alla Margherita perché non vuole la liberalizzazione che chiede con maggiore insistenza la rutelliana Lanzillotta. Risultato di tutte queste discussioni? Che le liberalizzazioni vanno in soffitta. Spiega il ministro rifondarolo Ferrero: «Noi siamo d'accordo, ma dobbiamo rimanere nella linea della prima tranche decisa a luglio. Per intenderci, un conto è consentire di aprire più punti vendita per i farmaci ma a condizione che la licenza sia data a chi ha già una laurea; altro conto è privatizzare le Asl». Allora Rutelli prova a proporre una cabina di regia, ma Prodi bacchetta sulle mani il suo vice: «Sulle liberalizzazioni mi assumo io la responsabilità e sto esaminando con interesse tutti i fili della lenzuolata di Bersani. Non per fare una cabina di regia, ma per fare una sintesi politica». Dunque in soffitta pure le liberalizzazioni. Almeno avranno deciso qualcosa sulle grandi opere. Sì, certo, come no. Via libera al piano di ricognizi

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