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di LUIGI FRASCA TUTTO come previsto.

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La notizia era nell'aria. Così quando, poco dopo le 16, il presidente Fausto Bertinotti convoca la conferenza dei capigruppo di Montecitorio si sa già come andrà a finire. E, infatti, uscendo dall'incontro, il ministro dei Rapporti con il Parlamento Vannino Chiti annuncia: «Il governo porrà la fiducia». Il voto (che si svolgerà stasera alle 19.30) verrà chiesto su un maxiemendamento che sostituirà quasi integralmente il testo del decreto per la parte non ancora esaminata dall'Aula (escluso cioè il solo articolo 1). In Aula Chiti, forse per mettere in difficoltà la Cdl, ringrazia apertamente Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini per la loro «coerenza» e spiega che, la decisione di porre la fiducia, è stata presa in seguito all'atteggiamento di alcune forze dell'opposizione, soprattutto la Lega, che ha reso praticamente inutile «un tentativo reale e serio di evitarla». Un ostruzionismo che, vista l'esigenza di approvare il testo entro domani, non ha dato alternative alla maggioranza. Un'analisi in parte condivisa anche dal capogruppo dell'Udc Luca Volontè che, infatti, si scaglia contro gli alleati accusandoli di aver offerto al governo la scusa per porre la questione di fiducia. Ma più che un attacco, quello dei centristi sembra essere un rammarico per l'occasione persa (oggi la Cdl presenterà compatta una «raffica» di ordini del giorno). Sono in molti a pensare, anche all'interno della maggioranza, che la discussione sugli emendamenti avrebbe messo in luce, ancora una volta, le contraddizioni interne all'Unione. Dopotutto la scelta di «blindare» il decreto fiscale arriva al termine di una giornata in cui la maggioranza ha segnato l'ennesimo passo falso al Senato e, soprattutto, si è divisa sull'emendamento presentato dall'Ulivo (e il governo ha preso le distanze) sulla possibilità di inserire in Finanziaria un'aliquota del 45% per i redditi oltre i 150mila euro. Ma era proprio su due articoli del decreto (quello sulle concessioni autostradali e quello sul destino della società che doveva costruire il Ponte sullo Stretto) che l'Unione, nonostante la maggioranza di 70 deputati, rischiava di capitolare. La causa, dicono nella Cdl, lo scontro infinito tra Clemente Mastella e Antonio Di Pietro. Ma il capogruppo dell'Udeur alla Camera Mauro Fabris smentisce: «Non esiste. La fiducia è stata messa per un problema di calendario e di divisioni all'interno dell'opposizione». Per Fabris è un peccato visto che «il buon lavoro fatto in commissione si sarebbe potuto proseguire in Aula». E ammette che su alcuni articoli come quello sulle concessioni autostradali, ma non solo, si poteva «migliorare il testo». Un'idea condivisa anche dal presidente della Commissione Attività Produttive della Camera Daniele Capezzone: «A mio avviso, porre la fiducia è un grave errore. Meglio sarebbe continuare a discutere liberamente, e modificare quel che va modificato». Troppo tardi. Dopo aver «salvato la pelle» alla Camera è praticamente impossibile che il Governo decida di riaprire la discussione al Senato.

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