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Il Governo si salva: il mancato gettito avrebbe portato 35 miliardi di «buco»

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Secondo i magistrati di Lussemburgo infatti l'imposta regionale sulle attività produttive è compatibile con l'Iva ed è in linea con la normativa comunitaria. Si tratta di una sentenza a sorpresa che evita l'ennesima stangata sui conti pubblici italiani e che, allo stesso tempo, fa esultare il viceministro delle Finanze Vincenzo Visco, il padre dell'imposta entrata in vigore nel 1998. La sentenza della Corte Europea, infatti, smonta punto per punto il castello accusatorio teso a delegittimare quella che dagli imprenditori italiani è considerata la tassa più «odiosa». L'Irap - si legge nero su bianco nella sentenza - «ha caratteristiche che la differenziano dall'Iva. Non è proporzionale al prezzo dei beni o dei servizi forniti e non è strutturata in modo da essere posta a carico del consumatore finale». Dunque «è compatibile con la sesta direttiva Ue sull'Iva». Per le tesi sostenute dalla difesa italiana quindi si tratta di una vittoria assoluta quanto insperata. Una vittoria soprattutto per l'ex ministro per l'Economia Visco, che si toglie più di un sassolino dalla scarpa: ricordando come l'Irap fu introdotta solo dopo «la debita autorizzazione» di Bruxelles e invitando «certi consulenti fiscali» a essere «più prudenti nel promuovere liti che fanno perdere tempo e denaro ai contribuenti». A questo punto è chiaro, quindi, il riferimento all'ex ministro delle Finanze Augusto Fantozzi, che allo stesso tempo ha curato la causa contro l'Irap per conto della Banca Popolare di Cremona. Nella Capitale - come ha sottolineato ancora Vincenzo Visco - la «buona notizia era attesa». Ma, al contrario, la decisione che è stata presa a Lussemburgo non era affatto scontata: sia perché ha ribaltato le conclusioni dell'avvocato generale Christine Stix-Hackl che nelle sue conclusioni ha sostenuto l'illegittimità dell'imposta e sia perché sta contraddiendo la posizione più volte espressa dalla Commissione Ue, in un momento successivo al via libera iniziale. E se da una parte il Governo italiano sta festeggiando, Bruxelles al contrario ha incassato il colpo, limitandosi a «prendere atto» della sentenza. La decisione della Corte però in questo momento è difficile da mandare giù: «Ha il vantaggio di portare chiarezza e certezza delle norme, in una discussione che dura da tanto tempo», è stato il freddo commento di Maria Assimakopoulou, ovvero il portavoce del commissario Ue al fisco Laszlo Kovacs, che ha aggiunto: «Studieremo, a questo punto, la decisione con molta attenzione». L'esito della vicenda, dunque, va ben al di là delle più rosee aspettative del Governo, perchè assolve l'Irap da ogni accusa di violazione delle regole comunitarie e non obbliga più lo Stato italiano ad abolire o a cambiare radicalmente l'imposta. Solo il mancato gettito dell'Irap - che a suo tempo sostituì ben sette diversi balzelli - avrebbe causato un buco nei conti pubblici di circa 35 miliardi di euro, più della manovra appena approvata dal Governo. Senza contare poi la questione dei rimborsi, che rischiava di trasformare il buco in una vera e propria voragine. Secondo i calcoli, se l'Irap fosse stata bocciata con effetti retroattivi fino al 1998 dalla casse dello Stato sarebbero usciti almeno 130 miliardi di euro. Scongiurata l'ipotesi più pesante nelle ultime settimane si era rafforzata la convinzione di una soluzione più indolore: quella di una bocciatura dell'Irap o limitando i rimborsi ai ricorsi presentati entro un certa data (l'avvocato generale Stix-Hackl nelle sue conclusioni aveva indicato il 15 marzo 2005) o demandando la questione rimborsi al giudice nazionale. Alla fine a pesare sull'assoluzione dell'Irap anche l'appoggio dato all'Italia da altri sette stati europei.

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