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Il segretario Ds: «Allargamento della maggioranza? Se non ce la facciamo, si torna al voto»

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Lo strappo. Lo strappo vero tra Ds e Cgil. Ad appena cento giorni dalla nascita del governo. Una divisione che giunge sul tema più tipicamente di sinistra: le pensioni. Piero Fassino, dalla Festa dell'Unità, mentre viene intervistato da Bianca Berlinguer, fissa nettamente i paletti per il sindacato. E lo fa con un riferimento preciso a Guglielmo Epifani, segretario della Cgil, che aveva pesantemente criticato le ipotesi di riforma delle pensioni arrivando persino a difendere lo scalone (fino al 2007 in pensione col sistema attuale, dal 2008 col nuovo sistema) ideato da Roberto Maroni. Fassino usa parole nette, rivolte anche all'estrema sinistra che contesta l'entità della Manovra: «O si fa una Finanziaria di rigore o l'Italia rischia». Ma subito dopo aggiunge, tra gli applausi: «Sediamoci attorno a un tavolo e discutiamo. Il governo stavolta ha una volontà vera di dialogare». E quando la Berlinguer gli chiede se - nel caso non ci sarà un accordo - l'esecutivo andrà avanti lo stesso, Fassino è lapidario: «Il governo ha il dovere di governare». Specificando, tra qualche mugugno in sala, che la direzione di marcia è quella che aveva già evidenziato il governo precedente: alzare l'età pensionabile perché si è allungata l'aspettativa di vita. Poi si riprende e sottolinea che «è irrealistico pensare di abolire tout court lo scalone». Quindi rovescia l'argomento: «Trovo davvero singolare che ci si appassioni di più all'abolizione dello scalone piuttosto che all'innalzamento a chi ha una pensione di 400-500 euro». E attacca ancora Epifani: «A leggere certe parole va a finire che ci terremo lo scalone così com'è». Un affondo, sì. Arrivando anche allo strappo. Ma il segretario dei Ds prova a anche a non chiudere la porta. E spiega ai suoi militanti di non perdere di vista la situazione dalla quale si proviene: «Veniamo da cinque anni di costante diminuzione della crescita, di crescita del deficit, di precarizzazione del lavoro, di impoverimento degli italiani. Ricordatevi che Berlusconi ha perso proprio per questo: aveva promesso una crescita che non c'è stata». Di qui, sottolinea il segretario della Quercia, bisogna fare una «Manovra di rigore, da almeno sessatamila miliardi delle vecchie lire». «Dobbiamo avere chiaro il fatto che per stare in piedi l'Italia deve crescere del 2% all'anno. Sento dire - aggiunge riferito a Rifondazione - che potremmo fare una Manovra tenue, magari spalmandola su due anni. Bene, chi fa queste proposte dovrebbe avere il coraggio anche di dire che è meglio crescere meno il prossimo anno». Fa poi un appello a tutti: «È un passaggio difficile, non si può affrontare se non c'è un'assunzione di responsabilità generale». Ma Fassino si spinge oltre. E agita lo spauracchio del voto. Lo fa poco oltre, quando parla della possibilità di allargare la coalizione: «Dico chiaro che in un Paese occidentale è assolutamente naturale che una maggioranza cerchi di allargarsi. E l'allargamento non è uno scandalo. Trovo scandaloso che si sostituisca la maggioranza che ha vinto le elezioni con un'altra. Perché gli italiani con le urne non solo hanno scelto da chi farsi rappresentare, ma anche da chi farsi governare». Dunque, la conseguenza nel pensiero del leader della Quercia è logica: «Se questa maggioranza non ce la fa, si va al voto».

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