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Bajetta: «Via Cognetti? Un danno internazionale»

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E sarebbe stata una manifestazione alla quale tutti avrebbero dato la loro adesione. Lo affermo con cognizione di causa per far comprendere le dimensioni, devastanti per la categoria, della decisione portata a conclusione dalla signora Turco». È questo lo stato d'animo degli oncologi italiani? «Ne sono sicuro. Vede, io lavoro a Milano all'Istituto dei tumori e la mia città è sicuramente la capitale italiana dell'oncologia con ben tre istituti d'eccellenza che si occupano delle malattie tumorali. La notizia ha avuto effetto dirompente per il semplice motivo che conoscevamo tutti benissimo la situazione del Regina Elena. Cinque anni fa era solo un grosso ospedale; adesso dopo cinque anni, è diventato un serio istituto scientifico e di questo sono coscienti anche i colleghi primari che hanno firmato la lettera indirizzata al Ministro. Non si possono eliminare con un colpo gli sforzi di cinque anni, che sono stati realizzati certamente da tutti i colleghi romani i quali hanno però utilizzato il grande dinamismo messo in campo da Cognetti. Dico queste cose non per intenti politici ma per un semplice e doveroso riconoscimento dell'opera svolta». Lei teme delle conseguenze o peggio ancora delle penalizzazioni del lavoro degli oncologi? «Tra pochi giorni io sarò a Lugano al congresso degli oncologi europei i quali conoscono benissimo il lavoro del professor Cognetti e rimarranno meravigliati di questo cambiamento. È una constatazione che non riguarda la dottoressa Muta la quale non rientra nelle considerazioni che stiamo facendo. È indubbio tuttavia il significato politico della scelta ministeriale. Vorrei fosse sottolineato che un lavoro durato per ben cinque anni e proiettato verso il futuro viene completamente troncato con un gesto interpretato da tutti come politico. Si verifica all'istituto dei tumori un cambiamento, una discontinuità che avrà il suo peso. Il lavoro che Cognetti aveva cominciato aveva un rilievo grazie all'apporto di un clinico oncologo di grande spessore com'è lui. Se al suo posto viene inserita una persona con una preparazione che non è quella di un medico clinico il cambiamento risulta inefficace per non dire di peggio. Insomma la ricerca clinica italiana sul cancro ha subito un colpo al cuore». Qual è il peso della ricerca scientifica italiana a livello mondiale? Che valutazione danno gli stranieri al lavoro dei nostri clinici e dei ricercatori? «Secondo i dati degli americani, gli italiani sono al secondo o al massimo al terzo posto nella classifica mondiale della ricerca sul cancro. Abbiamo raggiunto quindi, un gran livello che ci inorgoglisce e che costringe anche alla ricerca medica mondiale ad indirizzarsi in Italia per la qualità e per le prospettive aperte dagli studiosi del nostro paese. Togliere di punto in bianco da un meccanismo di questo genere un personaggio come Cognetti rischia di avere pesanti conseguenze». Il Ministro Livia Turco ha fatto intendere di aver calibrato la scelta basandosi soprattutto sul fatto che la dottoressa Muti è diventata la prima italiana a dirigere un istituto scientifico. È quasi un discorso di "quote rosa" da rispettare. «È una preoccupazione che tutti gli oncologi non condividono perché loro sanno (ma il ministro forse lo ignora) che il 75 per cento almeno degli specialisti in oncologia italiani sono donne, le quali occupano posti di rilievo in tutti i centri».

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