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Partito democratico, Rutelli è già fuori

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Proprio nel momento in cui si vorrebbe trovare l'intesa con i Ds per dare vita al partito democratico, con Rutelli, magari, nel ruolo di regista. Ma, a quanto pare, mentre il leader Dl punta a guidare i riformisti, gli ex popolari e una parte degli stessi «rutelliani» potrebbero sfilargli il partito da sotto il naso. Lo scontro parte da Roma, quartier generale del vicepremier, dove i «rutelliani» sono pronti a dare l'assalto al leader. L'ex sindaco della Capitale, da parte sua, non si muove ma la miccia è stata accesa e toccherà a lui trovare una mediazione che salvi capra (l'unità dei Dl) e cavoli (il partito dei riformisti). Nel frattempo i dissidi sono incandescenti: colpa della gestione del partito e della «campagna romana» del ministro-sindaco, che punta a riconquistare il terreno perduto nella città eterna, sistemando suoi fedelissimi nei posti chiave. Scelta che non è andata giù a tanti colleghi di partito. Ma questo, in fondo, è solo l'ultimo sintomo di una strategia politica che viene da lontano: gli ex popolari - le correnti di Marini e Franceschini, insieme con il gruppo di Enrico Letta - starebbero pensando di unire le forze. Le «prove generali» ci sarebbero state alla cena organizzata una settimana fa dal ministro Giuseppe Fioroni con settantasei parlamentari della Margherita. Senza invito, non a caso, il presidente Rutelli. Andiamo con ordine. Stufi della gestione del capo dei Dl, gli ex popolari avrebbero costruito un quadro politico «alternativo»: accerchiare il presidente per riconquistare la maggioranza del movimento. Spinti dall'onda che punta a mettere in minoranza il leader, anche le correnti romane avrebbero deciso di alzare la testa. In questo caso, l'equilibrio s'è rotto subito dopo le nomine ai vertici delle aziende capitoline. Dopo aver scelto «suoi» uomini nei consigli di amministrazione delle società dei Beni culturali, Rutelli si è concentrato sul «pezzo» migliore, l'Ama, che Veltroni volle affidare anni fa a uno dei suoi manager più fidati, Massimo Tabacchiera. Proprio quest'ultima mossa - la presidenza dell'azienda della raccolta rifiuti affidata al rutelliano Hermanin - ha rotto gli indugi. La corrente vicina al presidente Dl, che fa capo al deputato Riccardo Milana, non ha retto il colpo. Così nove membri della direzione romana della Margherita hanno chiesto formalmente di convocare l'assemblea cittadina per sfiduciare il coordinatore romano, Roberto Giachetti, braccio destro da almeno una ventina d'anni del ministro dei Beni culturali. Altro che la battaglia con i prodiani, indicati spesso come i «dissidenti» del partito e ormai in fase di ricucitura. Qui è tutta un'altra storia. Nel documento che i «rutelliani» (ex?) hanno inviato al mariniano Franco Dalia, presidente dell'assemblea romana, non vengono usati mezzi termini. Si chiede di «attivare le procedure per la sostituzione del coordinatore romano della Margherita e verificare la disponibilità» dello stesso «a rassegnare le proprie dimissioni». L'attacco è diretto: «A questo punto - scrivono i nove - considerate le molte inadempienze e contraddizioni, il rapporto di fiducia si sfalda». Ancora: la gestione del partito «mette in evidenza l'incapacità di assicurare, in una fase particolarmente delicata, la necessaria collegialità nella vita della Margherita». Non manca la stoccata al processo di costituzione del partito democratico che «richiede, in effetti, ben altra compostezza e serietà». Lo scontro è rilevante: nella direzione romana siedono sedici rappresentanti del partito. Dunque la sfiducia nei confronti del coordinatore non è fantapolitica. È un atto che punta a far tremare la terra sotto i piedi di Rutelli, rivendicando un ruolo nella logica di riconquista della Capitale. Il leader della Margherita dovrà guardarsi le spalle proprio da quelli che minacciano di sfiduciarlo nella sua roccaforte. I Dl rimasti vicini a Rutelli, ovviamente, non ci stanno: «Si rimane sconcertati - replicano i consiglieri

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