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L'Aula come il Vietnam Tre mesi di battaglie

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Dalla notte del dieci aprile scorso, Palazzo Madama è un autentico calvario per Romano Prodi. La cui maggioranza rischia su ogni provvedimento in aula. Per non parlare dei lavori in commissione, dove la maggioranza è ancora più risicata. Guardiamo allora i numeri. L'Unione può disporre sulla carta di un vantaggio di due voti, compresi i quattro parlamentari eletti all'estero. Il primo batticuore arriva il 28 aprile quando si vota per il presidente. L'Unione punta su Franco Marini, si candida Giulio Andreotti che riceva l'appoggio della Cdl. Si va a una conta da infarto. Il presidente pro tempore Oscar Luigi Scalfaro legge anche male una scheda, assegnando un voto all'amico Franco che non ne aveva diritto. Sono necessarie di fatto quattro votazioni per far passare l'ex segretario della Cisl. Nuovo percorso balcanico il 19 maggio, quando si vota la fiducia al governo Prodi. Italia dei Valori minaccia di non dare il suo assenso: protesta - sino all'ultimo minuto - contro la mancata istituzione del dicastero per gli Italiani nel Mondo. Una trattativa nella notte sblocca la situazione. In aula arriva il colpo di scena. I sette senatori a vita si esprimono a favore dell'esecutivo tra i fischi e le contestazioni della Casa delle Libertà. Il 6 giugno si va all'elezione dei presidenti delle commissioni. E il primo miniribaltone arriva nell'organismo ristretto per l'Industria, dove viene eletto un esponente di Forza Italia, Aldo Scarabosio. A suo favore vota anche il senatore Luigi Pallaro, eletto come indipendente, che aveva votato a favore di Marini e anche la fiducia al governo. Ma la sorpresa arriva il giorno dopo, in commissione Difesa. Il centrosinistra vota compatto per Lidia Menapace (Rifondazione comunista), la quale si era appena espressa contro le Frecce Tricolori dicendo che sono uno spreco. Il centrodestra compatto per Sergio de Gregorio (Idv ed ex Forza Italia). Lo stesso de Gregorio si autovota e dunque passa. Seguono polemiche infinite nel centrosinitra. Ma Prodi ha paura. E al primo voto su un provvedimento, il 27 giugno, pone la fiducia. La Cdl protesta e occupa l'aula, dove rimane per otto ore di fila un senatore di Forza Italia, Lucio Malan. Tre giorni dopo, il 30, Marini ci prova: «Il dialogo con la Cdl è difficile ma necessario». Il 4 luglio si riparte con una nuova fiducia, questa volta sullo spacchettamento dei ministeri. Ma tra proteste e diffidenze, la maggioranza zoppica. E l'aula lavora poco. Un esponente di Forza Italia, Enrico Pianetta, annuncia che restituirà la diaria. La tensione sale. Due giorni fa ricompaiono i franchi tiratori che respingono le dimissioni dei senatori diventati ministri. Il tutto alla vigilia di due voti importanti su Afghanistan e decreto Bersani sulle liberalizzazioni. Due voti per i quali l'Unione sembra non avere i numeri. Di qui, l'avvertimento di Napolitano: «Attenti, se la maggioranza non ce la fa si apre un caso politico».

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