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Ici, pronto il piano per abolirla

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L'abolizione dell'Ici è già quasi realtà dal momento che il consigliere economico di Palazzo Chigi Renato Brunetta ha messo nero su bianco uno studio che indica come fare. Ieri il ministro dell'Economia Giulio Tremonti aveva detto che l'operazione è completamente compatibile con il bilancio pubblico dal momento che ha un costo di «soli 2,5 miliardi facilmente reperibili». Come? La soluzione è indicata nel programma della Cdl lì dove si parla di vendita del patrimonio dello Stato soprattutto immobiliare. Ma non solo. Oltre alle dismissioni c'è un piano di lotta all'evasione fiscale con il coinvolgimento dei Comuni nell'accertamento e poi un giro di vite alle spese della burocrazia degli enti locali, dalle missioni alle consulenze tagliando gli sprechi. Ma veniamo al patrimonio. Brunetta spiega che il patrimonio pubblico dello Stato (di 1800 miliardi di euro) è superiore al debito pubblico (1500 miliardi di euro). Ma mentre il passivo è collocato come debito pubblico sul mercato, la parte attiva collocabile e valorizzabile (fatta da azioni, crediti, immobili, concessioni, ecc, pari al 40 per cento del totale cioè 700 miliardi di euro) è tutta in mano pubblica. Si calcola che il grosso del patrimonio pubblico, che può essere collocato e valorizzato sul mercato, circa i due terzi sul totale, vale a dire circa 500 miliardi, è dei governi locali regioni, province, comuni. Ne deriva che se i governi locali privatizzassero in tutto o in parte o mettessero a rendimento di mercato i 500 miliardi in valore dei loro asset, essi potrebbero non solo eliminare tutti i loro debiti, ma anche avviare enormi investimenti. In particolare, se i comuni mettessero sul mercato, facendole acquistare agli inquilini al valore del canone (come prevede il piano Casa, già legge dello Stato, legge finanziaria 2006), tutte le loro case, nonchè gli altri immobili non strategici, questi ultimi al prezzo di mercato, il ricavato, almeno 30-40 miliardi di euro servirebbe ad abbattere in tutto o in parte il loro debito, e per questa via ad eliminare gli interessi passivi relativi (tra i 2 e i 3 miliardi di euro). Esattamente l'equivalente del mancato gettito dell'Ici prima casa (2,3 miliardi di euro). I conti tornano, vendere tutte le case e i negozi dei comuni che non rendono nulla, e smetterla di tassare le prime case dei cittadini. Il sindaco di Milano Michele Albertini parla di un atto di «giustizia fiscale». Poi sottolinea che l'Ici sulla prima casa può essere sostituita da una più efficiente gestione imprenditoriale delle pubbliche amministrazioni, dal ricavato degli accertamenti fiscali in cui saranno coinvolti anche i Comuni, che potranno contare sul 30% dell'aumento delle somme recuperate, e da trasferimenti compensativi dello Stato reperiti attraverso una politica di contenimento della spesa pubblica». Peraltro già nella scorsa Finanziaria il ministro Tremonti aveva bacchettato gli enti locali richiamandoli a un maggior contenimento della spesa soprattutto tagliando le missioni, le consulenze, le manifestazioni poco significative, insomma tutti quegli sprechi che mettono a rischio i bilanci. Ne era nata una querelle con gli enti locali che rivendicavano la facoltà di decidere dove incidere con il bisturi lasciando al governo centrale solo la facoltà di ridurre i trasferimenti. Ora con l'eliminazione dell'Ici il problema si riproporrebbe e a questo punto i sindaci non potrebbero evitare di affrontare il problema degli sprechi. L.D.P.

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