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Gli imprenditori cambiano faccia all'estero

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In Italia le maggiori aziende parlano di declino del Paese, fuori lodano l'operato del governo

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Però fa un certo effetto sentire le maggiori aziende italiane così ottimiste sul futuro dei loro risultati e dell'economia italiana. Parlano di buone prospettive e sostengono le loro tesi con numeri ben presentati anche quei gruppi che in Italia stanno sempre a scuotere la testa e a dire che tutto va male. C'è maggiore coerenza da parte dell'amministratore delegato di Borsa Italiana, Massimo Capuano, organizzatore degli incontri americani. Non ha mai, anche per dovere d'ufficio, cavalcato la retorica del declino, e qui può presentare la sua visione positiva del mercato italiano senza alcun ritegno e senza il timore di essere colto in contraddizione. I numeri che porta servono a far drizzare le antenne a una banda di trentenni che, in un raggio di un chilometro dall'albergo dove si tengono gli incontri, è in grado di muovere quantità di soldi impressionanti ora fermi e perfino inattivi nei forzieri dei loro fondi. Capuano parla della Borsa che ha distribuito più dividendi quest'anno tra tutti i mercati europei. «È l'indice che mostra cosa significhi puntare davvero sulla creazione di valore», dice. E poi passa a un altro indicatore, meno conosciuto ma altrettanto importante, quello che fa vedere come la Borsa italiana sia stata negli ultimi tempi la più liquida in Europa, cioè quella in cui ci vuole meno tempo a trasformare in denaro liquido le azioni, tecnicamente si parla di «turnover velocity». E poi può citare con soddisfazione la riforma del risparmio e soprattutto le nuove regole di diritto societario, particolarmente per i maggiori obblighi di trasparenza verso il mercato e a favore della protezione degli investitori. Capuano parla delle tante storie interessanti proposte dalle aziende italiane, storie da valorizzare anche all'estero, e ricorda quante realtà industriali italiane potrebbero trovare maggiore sviluppo e offrire buone opportunità di guadagno finanziario se accettassero di aprirsi di più al mercato dei capitali. Insomma, niente a che fare con il quadro fosco che potreste leggere in Italia. Sono una vetrina questi due giorni americani, lo ripetiamo, e non sarebbe proprio il caso di mettere in vetrina le cose che non vanno, ma i numeri presentati e la convinzione con cui vengono mostrati non lasciano grandi dubbi. Fa da traino l'atteggiamento positivo della Fiat. C'è Sergio Marchionne, l'amministratore delegato della riscossa torinese, sta sui dati, non sulle impressioni, e sprizza soddisfazione. «Gli investitori americani che ho appena incontrato vi posso garantire che ci vogliono molto bene, li facciamo guadagnare», dice. Gli obiettivi della Fiat sono stati raggiunti, ma Marchionne parla addirittura della possibilità di arrivare al 35% come quota del mercato auto italiano, dal 30% già raggiunto e comunque ragguardevole. Si parla di industrie che vanno, qui a New York. Solo qualche piccola e precisa osservazione, a parlare è di nuovo Capuano, è dedicata a commentare, e negativamente, l'unica proposta concreta di politica economica che è veramente entrata nella campagna elettorale italiana, quella delle modifiche, al rialzo, delle tasse sul risparmio. Capuano risponde a domanda e dice che sì gli investitori internazionali non hanno dato gran peso al rischio di aumento del prelievo sui dividendi e sui guadagni da compravendita di titoli, i capital gain, ma aggiunge anche, con molta chiarezza, la speranza «che l'Italia possa mantenere l'attuale differenziale di vantaggio fiscale».

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