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di MARIA CARMELA FIUMANÒ «È FINITA l'Italietta fatta di pizza, spaghetti e mandolino, arriva l'Italia della destra».

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E lui immagina una destra nuova, moderna, attenta ai tempi che mutano: insomma, vuole andare oltre i confini del tradizionale 12% e puntare a rappresentare fette sempre più larghe di società. Comincia ricordando che quelli che un tempo venivano guardati con sospetto e circoscrizione all'estero e che adesso, anche «grazie a me come ministro degli esteri» hanno guadagnato autorevolezza e rispettabilità fuori dall'Italia - dice Fini - ora sono riconosciuti, al di fuori dai confini nazionali, come coloro che gli impegni li mantegono rendendo l'Italia un paese stabile». «Prodi e la sua Babele di partiti» sono il passato, «la Restaurazione - continua il numero uno di via della Scrofa - il loro unico mastice è l'anti-berlusconismo». Fini invece, scegliendo di mettere da parte la strategia della competizione con gli alleati che la nuova legge elettorale ha innescato riafferma l'importanza del ruolo di tutta la coalizione per vincere le prossime elezioni. Ringrazia dunque non solo il Cavaliere (a cui dà pieno appoggiandolo nella sua battaglia contro i «magistrati faziosi»), ma anche Bossi («il patto della Lega con il movimento per le autonomie del Sud di Lombardo dimostra che il Senatùr ha capito che se c'è An non si discute dell'unità della Patria») e Casini (l'unico al quale a dire la verità poi non rivolge più alcun accenno). Fini non ha nessun tentennamento nel suo discorso che dura oltre un'ora. L'unico momento di commozione è quando ricorda che a Pinuccio Tatarella (di cui a giorni ricade l'anniversario della scomparsa) nel '94 un ministro belga rifiutò di stringere la mano «perché di destra». L'amaro ricordo dura solo un attimo e Fini si riprende annunciando al popolo di An che «gli esami per Alleanza Nazionale sono finiti». «Anzi, - si compiace - li abbiamo superati a pieni voti». E giù con tutto l'elenco delle cose buone fatte dalla Cdl sulla spinta di Alleanza nazionale. In primis, anche se allo scadere della legislatura, la nuova legge contro la droga (di cui don Gelmini, ospite della Conferenza, fa un elogio). Poi: la legge sull'immigrazione che porta il nome (assieme a quello di Bossi) del presidente del partito; la nuova Carta Costituzionale («che grazie ad An difende l'interesse nazionale»); la politica per le donne per «garantire un'adeguata presenza femminile nelle istituzioni e nella società» (qui il riferimento inevitabile è a Renata Polverini, neo-segretario dell'Ugl, prima donna alla guida di un sindacato); la politica per gli anziani; la legge Biagi. Fini punta, col suo intervento oramai da vero e proprio premier, ad esaltare la platea. Prima di salire sul palco dice ad uno dei suoi più stretti collaboratori, il responsabile propaganda Roberto Menia, «spero di imbroccare il discorso», rivelando una certa ansia nel non deludere il popolo. E per non sbagliare all'inizio parte con i temi «classici», come la sicurezza e la legalità. Poi azzarda. Parlando di famiglia (valore sacrosanto della destra) prima dice che l'unione tra l'uomo e la donna è fondato costituzioanlemnte sul matrimonio. Poi, prendendo a prestito «ciò che ha detto anche la Chiesa», spiega che «non si può paragonare l'unione (in senso di convivenza, ndr) al matrimonio, ma che allo stesso tempo non si può fare una discriminazione sui diritti umani». Insomma per Fini il primato per il partito ora deve diventare la «persona umana». «Non si tratta di essere nè laici né clericali - precisa - ma di essere attenti ai contenuti e non alle etichette». Dunque, il leader non lo dice ma è chiaro che quando parla di «società che cambia» e di destra che «si deve adeguare ai tempi» il riferimento è alla coppie di fatto. E alla fine del discorso del presidente lo confermano anche le persone a lui più vicine ritenedo giusto oramai dare tutela anche ai figli di chi non è sposato e garantire gli stessi diritti di assistenza a chi è coniuge e chi inv

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