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Intercettazioni, la sinistra scopre che fanno male

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Le usò contro Craxi, Dell'Utri e contro il cardinal Giordano. A Fazio chiesero di dimettersi

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Che si scopre così con la mente annebbiata e la memoria corta. È agosto dell'anno appena terminato quando il leader Ds, dopo i primi «succulenti» sospetti su un suo possibile coinvolgimento nella vicenda Unipol, si affretta a chiedere in alcune interviste che venissero tolti gli omissis dalle trascrizioni delle telefonate in modo da fare immediata chiarezza. E adesso che è stato accontentato, si dimena, invoca l'immunità e vuole sfuggire al processo nella pubblica piazza. La memoria, indubbiamente, anche in questo caso, tradisce il diviso centrosinistra. Al suo interno è una girandola di pensieri, opere e reazioni ciascuna contraria all'altra. Testimonianza di divisioni anche su argomenti sui quali il leader della coalizione con ambizione di governo, quell'aspirante premier di Romano Prodi, si sbraccia inutilmente nel tentativo di allontanare. La questione delle intercettazioni «va affrontata con delicatezza e con una decisione politica molto chiara», così Prodi si esprime in una intervista al Messaggero, il 5 agosto scorso. Delicatezza che Fassino, nello stesso mese, appunto non maneggia: parlando, in un'intervista con l'Unità di «aggressione ai Ds». E pensare che a provare a cucire una bozza di unità di intenti interna al centrosinistra ci pensò l'ostico Pecoraro Scanio secondo il quale «la questione morale - dice - va affrontata senza divisioni e strumentalizzazioni interne, altrimenti ci facciamo solo del male da soli». Cosa che in realtà sta avvenendo in questi giorni in cui il piombo dei giornali macchia la fedina politica del partito di maggioranza relativa dell'Ulivo. Basta leggere le dichiarazioni - sempre di quei giorni - del vice presidente dello Sdi, Villetti, secondo il quale la diffusione delle intercettazioni telefoniche «instaura un processa di piazza senza garanzie». Imbarazzante balletto di divergenze interne. Lontani sembrano i recenti giorni in cui, alla luce delle intercettazioni telefoniche che riguardavano l'ormai ex governatore di Bankitalia, Antonio Fazio, la sinistra - centro compreso - chiedeva teste da decapitare, invocava la suprema legge morale. Rutelli, assieme ai petali della sua Margherita lasciava cadere pesanti moniti: il Governatore smentisca i contenuti di quelle telefonate oppure si dimetta. Concetto espresso anche da Vannino Chiti coordinatore della segreteria Ds. Di diverso parere il presidente dello Sdi Enrico Boselli che intravedeva nella diffusione delle intercettazioni il pericolo di alimentare «processi in piazza» contro Fazio. In queste ore, in cui anche la procura della Repubblica ha avviato un'indagine per scoprire colui che ha cancellato gli omissis e inguaiato Fassino, il centrosinistra cerca di mettere il bavaglio all'informazione e chiede un giro di vite sull'utilizzo di intercettazioni telefoniche. Ma basta procedere a passo deciso nel recente passato della nostra storia politica per assistere alle contraddizioni che affliggono il centrosinistra. I Ds, per esempio, che oggi fanno quadrato intorno al loro leader cercando di far cadere il silenzio sulle telefonate di Fassino, non ebbero dubbi sul sì votato per l'autorizzazione a intercettare il deputato di Forza Italia, Marcello Dell'Utri. Furono ben 134 i deputati Ds presenti sui 165 pari all'81,21 per cento, che votarono per l'autorizzazione. Era il 1998 quando il deputato diessino, Walter Bielli, criticò l'esito del voto alle commissioni Affari Costituzionali e Giustizia sulla tutela dell'immunità parlamentare: «È inconcepibile - sentenziò - che qualsiasi nefandezza e ingiuria espressa fuori dal Parlamento possa essere coperta da immunità. Si rischia di trasformare la prerogativa parlamentare in privilegio personale». E le intercettazioni telefoniche per i Ds andavano bene anche quando c'era da tirare per la sottana il cardinale di Napoli, Michele Giordano, a quell'epoca finito sotto la lente della magistratura. Atteggiamenti

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