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«Fassino così non va. A Milano abbiamo già perso un'occasione»

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Il percorso politico di Agata Alma Cappiello, sembra aver anticipato quello di molti suoi ex-compagni socialisti. Oggi, mentre si appresta ad accogliere nel centrosinistra il figlio dell'ex leader socialista, l'avvocato milanese rilancia il suo progetto politico («costruire un'esperienza di riformismo con venature di socialismo») e bacchetta Fassino: «Ferrante? Un'occasione mancata». Riformista e socialista per storia, credo e militanza ha accettato di aderire ai DS. Qual è stato il processo e cosa l'ha convinta? «La posizione assunta da Fassino, già contenuta nel suo libro "Per Passione" di una rilettura critica e positiva della nostra storia recente ed un riconoscimento della bontà del progetto socialista e che nella battaglia per la modernità, pur fra luci ed ombre, fa emergere un Craxi anticipatore ed un Berlinguer più conservatore. L'apertura fassiniana esprimeva anche l'esigenza, che ho fatto mia, di costruire una esperienza di riformismo con venature di socialismo e capace di aggregare anche l'area cattolica». Oggi con la nuova legge elettorale crede ancora possibile la praticabilità di questo progetto riformista? «Non ritengo la nuova legge elettorale capace di segnare un ritorno alla Prima Repubblica. Fra i cittadini si avverte l'esigenza di una semplificazione della politica con la definizione di 2 o 3 aree con programmi contrapposti e non dieci. Processo di transizione lento per gli ancora forti legami con i partiti di origine e per la moltitudine di formazioni politiche risultate dalla esplosione della Dc e del Psi. Ma l'obiettivo non può che essere la formazione di un'area riformista-democratica in cui sia presente la storia del socialismo e della laicità che, purtroppo, in questi mesi ho visto poco». In questi ultimi tempi è presente in molti una maggiore spinta verso il Partito Democratico, così come è riassunto dalle posizioni di Rutelli. Qual'è la sua opinione? «Non importa il "nomen", ma il contenuto. Le parole non devono essere gabbie. Sono democratici tutti gli Stati sorti dalla frantumazione dell'Urss con connotazioni politiche sicuramente diverse dai democratici Usa che, pur contrapposti ai repubblicani, specie nell'ambito dei diritti civili, usano, sotto elezioni, i toni della moderazione per conquistare il Centro. Importante è non comprimere in modo spudorato l'area di sinistra pur includendo i tre filoni della tradizione politica italiana: laico, cattolico e socialista». Con una laicità estremizzata come nell'alleanza dello Sdi con i Radicali? «È la nuova legge elettorale a costringere i piccoli partiti come lo Sdi a trovare alleanze per sopravvivere. Apprezzabile questa con i Radicali che sono un pezzo importante della nostra tradizione, ma non l'unico, penso alla galassia dei diritti sociali. E poi il problema non è il Concordato che ha già avuto con Craxi una revisione di grande equiibrio. È la politica che deve adeguarsi ai cambiamenti sociali, ascoltando il parere della Chiesa, che rappresenta una parte, senza disattendere il proprio progetto che rappresenta invece i bisogni di tutto il Paese». Come si coniuga questo processo con la Milano di oggi, con la sua tradizione di culla del Riformismo? «I riformisti di Milano hanno sperato nell'ipotesi di Veronesi sindaco, personaggio dalla biografia straordinaria, trasversale al fronte scientifico, culturale e laico che poteva ricostruire l'humus socialista, riformista e umanitario di Turati e Kuliscioff. Un socialismo dialogante e pragmatico, intriso di passione interiore; un humus della politica come servizio e "cultura politica"». Ma oggi a Milano è Ferrante il candidato del centro-sinistra? «Si è così. Si sconta la debolezza dei partiti e della politica desertificata da Tangentopoli. La candidatura di Ferrante è una scelta della "non politica" che fa respirare una atmosfera ministeriale, non vissuta da dentro, senza un'anima. Vedo la strada in salita. Potrà fare il sindaco, ma non può ricostruire l'humus riformista di Mila

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