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WASHINGTON

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Il pil italiano non crescerà nel 2005 mentre nel 2006 aumenterà dell'1,4%; il rapporto deficit-pil toccherà invece il 4,3% quest'anno e il 5,1% l'anno prossimo. In questo contesto «preoccupa» l'andamento dei conti pubblici dell'Italia e c'è allarme per la perdita costante di competitività del nostro paese, segnata in modo particolare da un «collasso delle esportazioni». La diagnosi sull'economia italiana è stilata dal Fondo monetario internazionale, che ritiene opportuna una «correzione» per ridurre il deficit 2006 al 3,8%, portandolo così in linea con gli obiettivi indicati dal Governo nel piano di rientro nei parametri di Maastricht concordato con la Commissione europea. Per riportare il rapporto deficit-pil italiano su quei livelli però, «serve un significativo, e ancora non identificato, aggiustamento», ammonisce il Fondo. Il raggiungimento dell'obiettivo indicato dal Governo rappresenta anche un «test» per il rivisto Patto di Stabilità europeo, per evitare che «la maggiore flessibilità concessa sia usata» dai paesi che l'hanno ottenuta, «per posporre del tutto» la realizzazione del target fissato. Le cifre indicate dal Fondo non tengono conto della prossima Finanziaria e delle misure che il Governo deciderà di adottare con la manovra per rispettare gli impegni assunti con Bruxelles. Il governo punta ora a correggere il deficit di 11 miliardi (0,8 punti di Pil) per portarlo al 3,8% partendo da una previsione 4,6% per il 2005. Il Fondo, invece, chiede di fatto una manovra da più 16 miliardi, cioè 1,3 punti di Pil (dal 5,1%), per rispettare l' impegno preso sui conti pubblici. Nel frattempo l'allerta dell'istituto di Washington sui conti pubblici dell'Italia si estende al debito pubblico, congiuntamente a quelli di Giappone e Germania. L'indebitamento netto complessivo dell'Italia torna infatti a salire, secondo il Fmi, dopo il rallentamento degli ultimi anni ed arriverà al 105,5% del pil quest'anno e al 107,1% nel 2006. A spiegare la debolezza delle esportazioni italiane c'è la concentrazione dell'export sui beni di consumo, come accade anche alla Francia.

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