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«Abbiamo già manifestato Lavoriamo per la svolta»

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«Noi siamo stati contro questa guerra, l'abbiamo detto in tutte le sedi. Ecco, ciò premesso possiamo cominciare». Il generale Franco Angioni, deputato dei Ds, per due anni (82-84) ha comandato il Contingente italiano in Libano. Inventò il «modello Italia», fu l'artefice del dialogo tra le parti che poi ha fatto scuola. Come valuta le nuove richieste dei sequestratori dei tre ostaggi italiani? «Abbiamo già detto che eravamo contrari alla guerra, abbiamo manifestato in tutte le sedi la nostra contrarietà e siamo scesi in piazza. Lo abbiamo fatto anche ieri, 25 aprile, per la pace». E quindi? «Ferma restando la necessità di salvaguardare al massimo l'incolumità degli ostaggi, non possiamo scendere in piazza a comando». Niente manifestazioni? «Abbiamo manifestato e continueremo a farlo per la pace. Ma non possiamo andare in piazza anche il 26 aprile, il 27, il 28 e tutte le volte che ci viene richiesto. Soprattutto se a chiederlo sono frange estremiste». Insomma, secondo lei non può essere tutto il Paese ostaggio? «Questa guerra era senza casus belli, visto che trecento ispettori hanno battuto in lungo e in largo il Paese senza trovare armi di distruzione di massa. Ma questo non vuol dire che dobbiamo cedere ai ricatti». E allora che cosa bisognerebbe fare? «In un Paese islamico non è tollerato che il potere sia detenuto da una autorità non islamica. Ecco perché stiamo assistendo in questi giorni ad una saldatura, non ideologica o religiosa, tra sciiti e sunniti» E che cosa vuol dire? «Quel che vuol dire è quello che ha detto chiaramente Al Sadr». E cioè? «E cioè che non è possibile fare i conti senza gli sciiti che in una prospettiva di democratizzazione conseguente alla caduta di Saddam, evidentemente, essendo la maggioranza, si attendevano di ricevere una certa autorità. Non bisogna dimenticare poi che ci sono anche i curdi all'orizzonte». E ora? Come si esce da questa situazione? «L'alternativa è un governo pienamente rappresentativo della realtà irachena. E lo si può avere battendosi fino alla fine per l'intervento dell'Onu, per una nuova risoluzione del consiglio di sicurezza e, dunque, per il passaggio dei poteri». Ma le Nazioni Unite sono assai riluttanti ad intervenire. «Bisogna ricordarsi e ricordare anche in sede Onu che l'Iraq è uno del 191 Paesi membri delle Nazioni Unite». C'è chi a sinistra chiede il ritiro delle truppe. Non è d'accordo? «Penso che ci sono ancora dei tentativi da fare nella direzione della pace». Dunque, lei non è d'accordo con Zapatero? «No, non sono d'accordo. Penso che ci sono settanta giorni di tempo prima del 30 giugno. Si può ancora cambiare la situazione e imprimere una svolta, coinvolgendo chi non ha occupato a cominciare dagli arabi moderati. Il ritiro oggi significa non nutrire più alcuna speranza nella soluzione Onu». F. D. O.

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