Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Nessun Paese pensa di lasciare l'Iraq

default_image

«Una presenza necessaria. Il Parlamento confermerà il mandato di restare per i prossimi mesi»

  • a
  • a
  • a

Lo conferma Berlusconi che sottolinea che «la debolezza non ferma i terroristi» e ribadisce che i rischi che corre l'Italia sul fronte terrorismo sono gli stessi che corrono gli altri paesi. Quanto a una nuova risoluzione dell'Onu, non cambierebbe la situazione reale. E il vicepremier Fini sottolinea: chi pensa al ritiro condanna gli iracheni alla violenza e alla guerra civile. A chiedere il ritiro ieri sono stati Verdi, Prc, Pdci e sinistra diessina, mentre Occhetto e Di Pietro chiedono che subentri in tempi rapidi una forza multinazionale sotto l'egida Onu. «Nessun Paese pensa di lasciare l'Iraq - dice ieri sera Berlusconi intervenendo a Porta a Porta -. Ci potrà essere una nuova risoluzione dell'Onu che non cambierebbe ciò che accade nel Paese e quello che fino ad ora hanno fatto le nostre truppe. Non capisco chi chiede la svolta - osserva - perché una svolta c'è già ed è nei fatti». E aggiunge: «Non possiamo cedere a delle milizie armate il cui capo è raggiunto da un ordine di cattura». Dunque le truppe italiane resteranno in Iraq «fino a quando non ci sarà un governo iracheno in grado di mantenere l'ordine». «Abbiamo il mandato di restare in Iraq per i prossimi mesi, poi torneremo in Parlamento ma sono sicuro - dichiara - che il mandato ci verrà confermato. Voglio ricordare che noi in Iraq facciamo supporto e mantenimento dell'ordine pubblico», precisa poi il presidente del Consiglio. Il premier quindi ricorda che «sono circa 10 mila i soldati italiani impiegati in missioni di pace nel mondo. Il fatto di essere così presenti - sottolinea - dà prestigio al nostro Paese, alla nostra economia. Siamo ascoltati come mai prima e ormai siamo comprimari nella politica internazionale insieme alle grandi potenze del mondo». E ribadisce che una politica estera efficace può realizzarsi soltanto se un governo è stabile e dura per una intera legislatura, e rende possibile anche «rispettare gli impegni internazionali come la lotta al terrorismo che è una lotta contro la nostra civiltà, la nostra libertà e democrazia». Anche Fini ieri, espressa solidarietà «alle nostre truppe impegnate in Iraq che danno prova di professionalità e umanità», conferma: «Non possono essere accettati ultimatum che se accolti rigetterebbero la maggioranza del popolo iracheno nel dispotismo e in una guerra crudele». «Noi auspichiamo che vi sia una assunzione di responsabilità da parte delle Nazioni Unite - aggiunge Fini - ma se ciò non avvenisse nessuno deve assumersi la responsabilità di ritirare le truppe se non, anche, a quel punto assumendosi l'onere di condannare il popolo iracheno ad una situazione peggiore». Il vice premier guarda perciò alla data del 30 giugno come auspicabile termine per la nascita dell'autorità irachena. Ma quello che considera il male peggiore è l'atteggiamento di chi «dice che se non raggiungiamo gli obiettivi di una pacificazione, possiamo allora guardare dall'altra parte».

Dai blog