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Bush agli alleati: «Noi restiamo in Iraq»

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«Il ritiro lo vogliono solo i terroristi. Il mondo deve restare libero, forte, unito e determinato»

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Chi sia al governo, in America o in Europa, cambia poco per al Qaeda: tanto sono tutti nemici. Su questa analisi di molti specialisti, la Casa Bianca è d'accordo. George W. Bush, presidente degli Stati Uniti, risponde così a chi gli chiede se al Qaeda fosse interessata a incidere sul voto di Spagna, quando ha fatto le sue stragi sui treni di Madrid: «I terroristi sono assassini a sangue freddo: a loro interessa uccidere, fare paura». Bush è nello Studio Ovale, ha accanto a sè il premier olandese Jan Peter Balkenende, un alleato nella guerra contro il terrorismo e nell'occupazione dell'Iraq. Il presidente aggiunge: «I terroristi non faranno esitare gli Stati Uniti. Lavoreremo con i nostri alleati: è essenziale che il mondo libero resti forte, unito e determinato». Balkenende assente: è li per questo, per dare la sensazione che la coalizione resta solidale, anche se la Spagna uscita socialista dal voto di domenica ritirerà le truppe dall'Iraq. Simon Serfaty, specialista d'Europa del Csis, un serbatoio di cervelli di Washington, nota che la defezione della Spagna «non indebolirà la coalizione contro il terrorismo, ma solo quella in Iraq», che, fin dall'inizio, è più debole e più controversa di quella costituita dopo gli attacchi all'America dell'11 Settembre 2001. Un conto è la fermezza contro il terrorismo, su cui tutti gli alleati tradizionali degli Stati Uniti sono d'accordo: i Paesi dell'Ue, che si consulteranno venerdì a Bruxelles, discutono ulteriori misure comuni anti-terrorismo e progettano una «clausola di solidarietà» che li impegni ad aiutarsi a vicenda quando uno di essi è attaccato dai terroristi, qualcosa di equivalente all'articolo V dell'Alleanza atlantica. Ma il fatto che al Qaida sia un'organizzazione ideologica «non significa che sia irrazionale», dice Anthony Cordesman, docente al Csis. I terroristi possono pianificare politicamente le loro azioni: dopo i colpi di Madrid e il voto di domenica, «possono benissimo sostenere, dal loro punto di vista, di stare vincendo la guerra con l'Occidente e l'insurrezione in Iraq». C'è effettivamente il rischio di quelli che Robin Niblett, un giovane studioso, definisce «ulteriori attentati condotti con buona tempistica politica». Del resto, la Casa Bianca paventava le ripercussioni di un attacco terroristico sulle elezioni presidenziali del 2 novembre ben prima delle stragi dei treni. Si parla spesso, negli Stati Uniti, della «sorpresa di ottobre» del voto e si pensa alla cattura di Osama Bin Laden: «Attenzione!, potrebbe anche essere un attacco di al Qaeda sul territorio americano» avverte Arnaud de Borchgrave, giornalista ed analista. Dopo l'impatto «militare» e politico delle azioni in Spagna, sono numerosi gli analisti che si chiedono negli Stati Uniti se i terroristi ne saranno galvanizzati e cercheranno di condurre un attacco simile sul territorio americano. E se ciò accade, sarà a favore di Bush o del suo rivale, il candidato democratico John Kerry? Andy Kohut, sondaggista, stima che l'effetto tradizionale di un attacco terroristico sarebbe quello di indurre gli americani a raccogliersi intorno al loro presidente, come è già successo dopo l'11 Settembre 2001 e, poi, nella guerra in Afghanistan e l'attacco all'Iraq. Tanto più che gli americani continuano a dare voti alti, nei loro sondaggi, al presidente Bush per come ha condotto e sta conduceendo la guerra al terrorismo, anche se lui e Kerry sono alla pari nelle previsioni di voto. Un analista della Brookings Institution, Stephen Hess, avverte, però, che un'incursione dei terroristi sarebbe un problema sia per Bush che per Kerry.

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