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E poi a pranzo beve vino siciliano

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«Più che rallegrato mi sento alleggerito». Fra gli applausi di tutti resta muta solo la sinistra

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Certo è che Giulio Andreotti a pranzo ordina un bel vino rosso di Sicilia, proprio quella Sicilia che gli ha procurato gioie e dolori, successi e sofferenze. Soprattutto in questi ultimi anni. In realtà è solo un omaggio ad un suo commensale. Il senatore a vita appare risollevato, scansa i giornalisti e, prima di entrare nell'ascensore, uno gli fa: «Rallegramenti!». E lui risponde: «Più che rallegrato mi sento alleggerito». Alleggerito di un gran peso, poi va via e s'infila nel ristorante di Palazzo Madama. Qui resta con tre senatori dell'Udc (un siciliano e due campani), due dei quali sono rimasti seduti a fianco a lui, come due angioletti, come due guardie del corpo: Francesco Salzano e Giuseppe Ruvolo (il terzo è Antonio Iervolino). Ed è proprio in onore dell'agrigentino (di Ribera, terra di vini) Ruvolo che si pasteggia con rosso siciliano. Andreotti è rilassato, sereno, fa una piccola lezioncina di storia. Bonifacio VIII, quello dello schiaffo di Anagni, e poi la fondazione dell'Università La Sapienza. Ma la chiacchierata scivola via si parla ora di calcio, del decreto spalma-debiti e naturalmente della Roma. Niente, neanche un accenno al dibattito in aula. Il senatore a vita non ne ha voglia. La giornata per lui è cominciata presto, come al solito, la lettura del giornali e al Senato dove chiede di parlare a inizio seduta «per fatto personale». Pera gli dà la parola a ora di pranzo. Andreotti parla leggendo un testo, parla piano ma sicuro, non indurisce la voce ma appare fermo. Il suo è un atto «dovuto ma sofferto», come dirà alla fine. Attorno a quell'uomino piccolo, tutto ricurvo sul testo che legge, un gruppo di senatori si avvicina per ascoltare la sua voce dal vivo e non attraverso l'amplificazione. La ricostruzione minuziosa delle accuse che gli sono state rivolte, il famoso presunto bacio tra Andreotti e Riina raccontato da Di Maggio che lo stesso pentito smentì, le accuse di un altro personaggio fatte a Falcone che il magistrato massacrato dalla mafia bollò come fandonie. Legge un lungo racconto del senatore Giuseppe Ayala, un tempo Procuratore a Caltanissetta, oggi senatore dei Ds che è seduto proprio lì, in prima fila, tra i banchi dell'opposizione. E Ayala narra di come vennero fatti i riscontri su quelle accuse e di come tutto si rivelò una bufala. Andreotti ricorda le manovre di Luciano Violante, le lettere della commissione Antimafia e sbotta: «Molti quesiti restano ancora, inquietanti, dentro di me e non posso desistere dal cercare di chiarirli. Cito per tutti il preambolo dell'interrogatorio negli Stati Uniti del pentito Marino Mannoia. Si è pretesa dall'Italia per iscritto la dichiarazione che nessuna conseguenza possano avere contro di lui le dichiarazioni che stava per rendere. Mi sono domandato più volte se possa esistere la libertà internazionale di calunnia. Non potrei concludere, questo dovuto ma sofferto intervento senza esprimere ai senatori di questa e delle precedenti legislature il mio grato animo perché non mi hanno mai fatto sentire a disagio nonostante il doppio macigno di infamanti accuse. Iddio ve ne renda merito». Applaude la maggioranza, la Margherita, due socialisti Fassone e Del Turco. Ma tra i banchi dei Ds restano tutti fermi, basiti, senza gesti, gelati. Applaude anche il senatore ulivista Sergio Zavoli. Inizia poi la lunga fila, tutti a rendere omaggio. Molti, soprattutto i centristi e gli azzurri, ma anche qualche esponente di An e della Margherita. Tutti in fila a stringere la mano ad Andreotti, tutti a ringraziarlo per avere in qualche modo riabilitato, con quel gesto, un'intera storia. Quella della Dc. Iddio ve ne renda merito. F. D. O.

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