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La Camera silura Castelli. Minacce di dimissioni

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La Lega accusa An e domenica a Milano darà una risposta. Fini rilancia verifica e rimpasto

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Il ministro della Giustizia leghista minaccia di dimettersi. «È chiaro che io non voglio stare a capo di un dicastero se non si possono fare le riforme», ha dichiarato irritato ieri sera Castelli, che aveva già parlato parlato in mattinata di lasciare il governo se il parlamento approverà il mandato di cattura europeo. A poche ore di distanza dal primo ultimatum del Guardasigilli, quindi, 36 deputati della Casa delle libertà gli hanno risposto con la bocciatura di una legge alla quale lui teneva molto, ma che era invece osteggiata da settori di An e Udc e giudicata una vera sciagura dai magistrati. Prevede, in sostanza la soppressione dei tribunali minorili, con il trasferimento delle competenze a servizi speciali dei tribunali civili. Le pregiudiziali di costituzionalità presentate da Ulivo e Rifondazione sono state approvate con 252 voti a favore contro 221. Al voto segreto hanno preso parte 473 deputati, dei quali 216 appartenenti all'opposizione, e 257 alla maggioranza. I franchi tiratori sarebbero perciò 36. Questa la classifica delle assenze: il 19,19% in An, il 5,71% in Forza Italia, il 10,34% della Lega, il 10,53% dell'Udc. Castelli ha tuonato contro l'agguato nel segreto dell'urna dei 36 traditori, un voto «da prima repubblica». «Non è stata la somma di decisioni dei singoli, il tradimento è stato organizzato in modo preciso, e ha vinto il partito dei conservatori», ha accusato Castelli assicurando di avere le prove della manovra orchestrata. E ha ricordato che poche ore prima del voto, in una riunione intorno a Mezzogiorno tutta la Casa delle libertà aveva approvato il testo del provvedimento. Tuttavia il ministro Giustizia ha spiegato di non voler prendere decisioni affrettate e di voler valutare a mente serena, insieme alla Lega, le dimissioni. A suo parere, però, dopo quanto è accaduto il quadro è più chiaro. «Si esce di qui con una diagnosi di malattia grave, prima c'era il dubbio che forse si potesse andare avanti con le riforme, mentre oggi non l'abbiamo più». I deputati del Carroccio si sono riuniti ieri sera con Bossi per discutere la situazione. Al termine del vertice il numero due del Carroccio Roberto Calderoli ha detto che il partito deciderà che cosa fare nell'assemblea federale di domenica. L'incidente di ieri è stato «l'ultimo episodio che si somma ad altri episodi altrettanto gravi e ne trarremo le conseguenze». «Siamo entrati nel governo per fare le riforme. Senza riforme che ci stiamo a fare?». Calderoli se l'è presa anche con il presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, che ha concesso troppi voti a scrutinio segreto e «questo ha fatto sì che i franchi tiratori si potessero scatenare». «Ci sono diversi nodi da sciogliere», ha concluso, «che Berlusconi dovrà affrontare al più presto». Scende in campo anche Fini, che pretende espressamente una verifica di maggioranza in tempi brevi. Dopo lo scivolone del governo la situazione è precipitata. Pochi minuti prima, scambiando alcune battute con i giornalisti dopo la conferenza stampa congiunta con il presidente russo Vladimir Putin, il premier aveva assicurato l'unità della coalizione sui temi importanti per il Paese: «vado avanti e la Cdl mi segue». Berlusconi aveva poi smentito le voci di una possibile sostituzione alla Farnesina. «Cambiare Frattini? No, non è vero» aveva risposto spiegando che Fini non era interessato alla poltrona di ministro degli Esteri: «lo ha detto in faccia a me e a Frattini». Poi, è stato il vicepremier a confermare: «Il presidente Berlusconi ha perfettamente ragione: non ho mai posto il problema del ministero degli Esteri». Però, ha aggiunto Fini, «ho sostenuto e continuo a sostenere, a maggior ragione dopo quanto è accaduto alla Camera, la necessità di una verifica politica nell'ambito della maggioranza e di una conseguente ridefinizione del programma e della squadra di governo per la seconda parte della legislatura».

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