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Niente rimpasto, il governo arriverà al 2006

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«La continuità esclude i cambiamenti. Altrimenti bisogna ricominciare tutto dall'inizio»

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Un auspicio che, a suo avviso, non contemplerebbe rimpasti e che va al di là dell'attuale mandato, estendendosi ad un successivo quinquennio di governo della CdL: con l'obiettivo di portare a termine la complessiva riforma dello Stato, della sua amministrazione. Il presidente del Consiglio ha espresso queste convinzioni parlando con i giornalisti italiani al termine dell'ultimo degli incontri in calendario in Cina, quello di Shangai con gli imprenditori. «I governi devono avere una stabilità di presenza» ha sottolineato, aggiungendo che purtroppo ciò non si è verificato negli ultimi 50 anni. Con tutte le conseguenze del caso e la complessa necessità di ricominciare tutto daccapo, riallacciando rapporti, lasciati a metà, a tutti i livelli. Il rimpasto quindi non si addice alla continuità di lavoro: una prospettiva, questa, che il premier non fa entrare nei suoi ragionamenti, ragionamenti che non toccano neanche il merito delle richieste di alcuni settori della maggioranza che invece il rimpasto lo vorrebbero (quello che pensano sull' argomento chiedetelo a loro e non a me, si è limitato a dire Berlusconi incalzato dai cronisti). E puntuale è arrivata da Roma la risposta del portavoce di An, Landolfi, che insiste: «L'auspicio di governare con la stessa squadra fino al 2006 è assolutamente legittimo, tuttavia anche i motori più collaudati necessitano periodicamente di una revisione». E anche al governo serve «quantomeno un aggiornamento del documento programmatico». Assai positivo invece il commento del leghista Calderoli alle parole di Berlusconi: «Ai rimpasti e agli appetiti dei singoli sono da preferire la continuità di azione». Per il premier comunque è «logico» che la continuità escluda i rimpasti. «Mi sembra che stia nel buon senso. Chi intraprende un'iniziativa - ha sottolineato più volte - e poi viene sostituito a metà dell'opera, costringe a ricominciare tutto da capo». Un'esperienza che il premier ha ricordato di aver fatto nel 1994 quando lasciò Palazzo Chigi e chi gli subentrò ricominciò da zero, senza neanche chiedere suggerimenti o cercare di sapere quali erano i progetti avviati dall' Esecutivo uscente. Una situazione che il presidente del Consiglio ritiene quasi normale, in un continuo avvicendamento di governi, «perché ciascuno tende a farsi una propria esperienza». Resta il problema che si «interrompe il filo di un lavoro», quella stabilità che consente «continuità di azione». «Mi sembra di dire delle banalità ma è così», ha proseguito, bacchettando bonariamente quei cronisti «che a volte hanno l'abitudine di mettere tra virgolette frasi nè dette nè pensate». Frasi che ormai non vengono neanche più corrette (nessuno è tenuto alle cose impossibili, ha commentato con una citazione in latino, «ad impossibilia nemo tenetur»), per evitare il rischio di interpretazioni «maliziose» del tipo: «Il presidente fa marcia indietro». Un atteggiamento che il premier, indirettamente, attribuisce anche alle ricostruzione giornalistiche dei suoi rapporti con Romano Prodi: rapporti di collaborazione che anche ieri ha tenuto a definire «cordiali». «Non ci siamo sentiti dopo l'altro ieri. Ci siamo solo salutati a Pechino e ci vedremo al summit Ue-Russia mercoledì prossimo a Roma» ha aggiunto, chiudendo, almeno per ora, questo capitolo.

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