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IL RETROSCENA: IN PISTA ANCHE BRANCHER

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Neanche nei momenti della tempesta, di massimo litigio nella maggioranza, un filo tiene tutti assieme. Un filo che scorre nelle mani del berlusconiano Gianni Letta, del finiano Ignazio La Russa, dei ministri centristi Rocco Buttiglione e Carlo Giovanardi e del bossiano Aldo Brancher. È proprio quest'ultimo che tiene i rapporti con gli alleati, che recapita agli altri della Casa delle Libertà i messaggi riservati. E così, anche ieri, quando il fido del Senatùr, Roberto Calderoli ha cominciato a minacciare fantomatiche dimissioni del leader leghista, Brancher ha preso il telefono e ha chiamato gli altri per avvisarli che nel breve volgere di qualche ora sarebbe arrivata una nota del ministro delle Riforme, correttiva e conciliante rispetto alle dichiarazione di fuoco del vicepresidente del Senato. Non è un caso infatti che Fini, incrociando i giornalisti alla Camera che gli chiedevano una commento alle parole di Calderoli, diceva in tarda mattinata: «Aspettiamo che cosa dice il diretto interessato», cioè Bossi. Poco prima, infatti, La Russa aveva visto Brancher, il quale gli aveva confermato di stare tranquillo, che il leader leghista avrebbe aggiustato tutto diramando una comunicato di lì a poco. Il messaggio, invece, non è arrivato per tempo a Berlusconi, il quale, vedendo proprio Calderoli al saluto dei militari italiani della task force Nibbio, tornati in Italia dopo sei mesi passati in Afghanistan, gli ha fatto una bella ramanzina. Esordendo così: «Mi devi spiegare, non capisco». Il premier non capiva perché sembrava saltato un'altra volta l'accordo nella maggioranza raggiunto appena due giorni fa. L'intesa prevedeva un Fini a «Porta a Porta» rassicurante, che spiegava chiaramente di non avere intenzioni di fare fuori dalla maggioranza Bossi. E così è stato. Ma il Senatùr ci ha voluto mettere la sua. E ha ordinato al fedelissimo Calderoli di attaccare l'indomani mattina. Il premier non la prende bene, anche perché teme ancora una tempesta in un bicchier d'acqua, le pagine dei giornali ancora piene di inutili polemiche all'interno del centrodestra, «polemiche che la gente non capisce e non apprezza». Quando i rapporti tra il Cavaliere e il Senatùr entrano in fibrillazione c'è anche un altro personaggio che entra in pista: il ministro azzurro-verde Giulio Tremonti, che prende il telefono e chiama il leader del Carroccio. E lo rassicura: sul voto agli immigrati è possibile cercare i voti dell'opposizione, sulla devolution no; anche An e Udc la voteranno. Ma Bossi, anche questa volta, ha ottenuto il suo obiettivo. Quello di diventare il capo rivolta contro il voto degli immigrati, di accogliere a braccia aperte e delusi di An e difendere l'amata devolution. F. D. O.

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