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Pensioni, Maroni critica D'Amato e Agnelli Il ministro: «Sono degli ingrati». E aggiunge: «L'obiettivo è l'equità sociale»

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Il governo, «ieri come oggi», saprà resistere alle pressioni che da tutte le parti gli arrivano per una riforma che ciascuno vorrebbe tagliata a suo uso e consumo. Alla vigilia dell'atteso vertice che dovrebbe sancire il via libera politico alla riforma, il ministro del Welfare, Roberto Maroni, chiarisce una volta per tutte che il governo non guarderà in faccia nessuno, anche se resta aperto ai contributi delle parti in causa. Il menù della Finanziaria è bell'e e pronto: «Un mix di misure di carattere ciclico per favorire i consumi e di riforme strutturali (le pensioni) per garantire la stabilità finanziaria». Tutto il resto, a cominciare dalle critiche arrivate al governo dal presidente di Confindustria e da Umberto Agnelli non interessa il titolare del Welfare che, anzi, risponde a stretto giro. Quelle di Antonio D'Amato sono affermazioni «sgradevoli». Mentre dal presidente della Fiat, dice Maroni, sono arrivate critiche «sorprendenti». All'esponente leghista non sono piaciute affatto le parole pronunciate dal numero uno degli industriali italiani («Il governo è ostaggio della Lega»), nè tanto meno il giudizio espresso il giorno prima dal presidente del Lingotto (quelle sulle pensioni sono «misure insufficienti»). «Questo governo non è ostaggio di nessuno - risponde secco Maroni appena lasciata Villa D'Este sul Lago di Como dove ha partecipato alla terza e conclusiva giornata del workshop Ambrosetti a Cernobbio - Semplicemente questo governo non attua provvedimenti che servono a spostare soldi dalle pensioni alle imprese, magari sotto forma di assistenzialismo. Respingo al mittente le critiche mosse dal presidente di Confindustria. Anzi, sono sorpreso dalle dichiarazioni di D'Amato il quale deve invece riconoscere a questo governo di aver fatto un'importantissima riforma, quella del mercato del lavoro». «La riforma delle pensioni - ha aggiunto - è una misura strutturale e non ciclica. Non serve a far cassa ma solo per la stabilità finanziaria. Respingo le critiche di chi ci dice che la riforma delle pensioni è poca cosa, perchè è una riforma strutturale. Questo governo - chiarisce Maroni - vuole fare solo riforme strutturali nel nome dell'equità sociale. Con la Legge Biagi lo ha dimostrato. Il presidente di Confindustria non lo dimentichi: con quella riforma abbiamo dimostrato di saper fare leggi senza pensare alla cassa e di saper decidere senza essere ostaggio delle pressioni. Lo abbiamo fatto con la riforma del mercato del lavoro. Lo facciamo oggi con la riforma delle pensioni». E al titolare del Lavoro vanno giù nemmeno le critiche di chi parla di una riformicchia delle pensioni. Umberto Agnelli è l'obiettivo: «È sorprendente che l'accusa rivoltaci di fare una riforma di scarso rigore su un provvedimento per alzare l'eta pensionabile arrivi proprio da chi, Agnelli, ha attuato un pesante esodo dei lavoratori. È sorprendente che una critica del genere arrivi proprio da quel pulpito». «Bisogna dare fiducia ai cittadini - rassicura Giulio Tremonti, ospite insieme a mezzo governo del seminario Ambrosetti - Ci sono due ragioni per le riforme strutturali: una generale rappresentata dal patto tra le generazioni e una più specifica. La fiducia serve per la domanda». «La riforma delle pensioni va fatta, ma non usando il machete», è l'invito che arriva da Marco Follini. Nel suo intervento di chiusura della Festa dell'Udc sottolinea che serve «una riforma e non uno sfracello». Il tempo per fare una riforma seria è passato, ricorda il presidente della Rcs, Cesare Romiti, secondo il quale il governo ha perso tempo con l'art.18, invece di pensare alle pensioni. Domani parte la maratona per il d-day sulla riforma. Tremonti, Maroni, Alemanno e Buttiglione si rivedranno per tentare di mettere nero su bianco la proposta (o le due ipotesi di consenso cui ha fatto riferimento sabato il ministro delle Politiche Agricole) da sottoporre ai leader della Cdl: non sarà una riforma per fare cassa, la riforma strutturale - ha ripetuto Maroni - «l'ab

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