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Il governo impigliato su previdenza e dpef

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Proposto un documento economico solo tecnico, da sistemare poi eventualmente con variazioni

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E per decidere sul futuro della previdenza ci vuole l'accordo politico almeno nella maggioranza, che in queste ore sembra letteralmente saltato per aria. Tanto che ieri il leghista Giorgetti presidente della commissione Bilancio della Camera propone: mandiamo avanti il Dpef con contenuti tecnici sulle cose condivise, poi se ci saranno cambiamenti faremo note di variazione. «Parto dalla constatazione - dice - che non c'e accordo politico sulle pensioni, né si può pensare che lo si trovi in 15 giorni». Di qui la proposta di «un documento tecnico, su cose condivise e logiche, che abbia una sua coerenza, con i soli dati macroeconomici. Poi - spiega - potrebbe anche essere aggiornato con la nota di variazione, se cambiano le condizioni con un accordo politico». Quanto ai tempi, il documento, appunto solo dal punto di vista tecnico, sarebbe già alla definizione dei dettagli. Il nodo restano quindi le verifiche politiche, che comprendono non solo il futuro possibile degli assetti previdenziali, ma anche, e non secondariamente, i contenuti delle partite contrattuali dei dipendenti pubblici ancora aperte e sulle quali ci si aspettavano certezze dal coordinamento politico-economico della cabina di regia ormai «saltata». Passaggio importante dovrebbe essere, per tutta al vicenda, il consiglio dei ministri finora previsto venerdì. Il sottosegretario all'Economia Manlio Contento (An), auspica anzi che dopo il fallimento della cabina di regia la maggioranza possa ricompattarsi mettendo a punto la risoluzione sul Dpef. Sulle pensioni, intanto, la posizione della Lega è «quella di sostenere la validità dell'impianto della delega». Lo precisa il sottosegretario al welfare, Brambilla: il ministro Maroni, sottolinea, non ha avuto alcun mandato a trattare proposte al di fuori della delega. E lo stesso ministro interviene in proposito, anche se senza discostarsi dai concetti generali. La Lega, dichiara, non vuole far cadere il governo come nel 1994, ma resta «ferma e determinata» nel «no» a tagli alle pensioni. «Noi - prosegue - abbiamo una posizione ben precisa, che è il contenuto della delega. Il resto è pura invenzione». La soluzione, ribadisce, «c'è già -dice Maroni- ed è la delega approvata dalla maggioranza alla Camera». Dal canto suo, il sottosegretario al Welfare Maurizio Sacconi ribadisce che «la decontribuzione è nel testo della delega, un contenuto cui non intendiamo rinunciare»: si tratta, spiega, di una quota «legata a condizioni di finanza pubblica e deve essere coperta dal bilancio dello Stato». Argomento questo che crea e creerà problemi con i sindacati. Infatti, anche loro in una lunga fase di contrasti e anche scontri, le tre confederazioni sindacali nei mesi scorsi si sono messe d'accordo su due cose sole rispetto alla proposta governativa di di revisione previdenziale: il «no» alla decontribuzione, e il «no» alla obbligatorietà del conferimento del tfr nei fondi pensione integrativi. Hanno anzi presentato al governo loro proposte alternative, che porterebbero agli stessi risultati contabili in modo diversi. E, di conseguenza, su una cosa finora non c'è dubbio: se il sistema pensionistico verrà ritoccato senza concordare con Cgil, Cisl e Uil, queste metteranno in campo tutte le azioni sindacali di contrasto, il che vuol dire lo sciopero generale. I partiti del centrosinistra, oltretutto, non aspettano altro per cavalcare quello che le sinistre cercheranno subito di trasformare in uno scontro sociale globale. D. T.

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