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«Sulla crisi irachena il centrosinistra non si è appiattito sulle posizioni di Bertinotti»

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Intervista - Il presidente dei senatori ds, Gavino Angius, spiega le differenze fra gli interventi in Serbia e in Iraq Sì ai militari solo quando portano pace

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Si è iscritto al partito comunista a 23 anni, all'indomani della strage di piazza Fontana a Milano (12 dicembre del 1969), ha percorso tutti i gradini della carriera politica. Deputato per la prima volta nel 1987, riconfermato nel 1992 e nel 1994, da due legislature è al Senato. Fa parte della corrente di maggioranza del suo partito. La guerra all'Iraq è cominciata. Il mese scorso, in Parlamento, l'Ulivo e Bertinotti si erano divisi sulla possibile guerra. Adesso sono uniti. Perché? «La ragione di fondo credo che sia da ricercare nella profonda contrarietà a questa guerra, che è stata promossa unilateralmente dagli Stati Uniti, senza l'avallo dell'Onu, in applicazione della dottrina della "guerra preventiva"…». Quella stessa di Saddam Hussein quando, nel 1990, ha invaso il Kuwait. «Non c'è dubbio. E l'applicò anche quando ha attaccato l'Iran di Khomeini. Allora però l'Iraq non era uno "stato canaglia", ma amico dell'Occidente… Quella della guerra preventiva è una dottrina sbagliata. Vede, molti anni fa, quando la Cina invase la penisola della Kamchakta, il presidente americano Truman litigò con il gen. McArthur. Il generale voleva l'intervento militare e Truman gli rispose che una guerra non elimina un'altra guerra, ma elimina la pace. E non ci fu l'intervento». Dice il centrodestra: l'Ulivo si è unito sotto la bandiera di Bertinotti. E in fondo festeggia… «E perché mai?». Perché afferma che in questo modo l'Ulivo ha scelto di allearsi con le sinistre estreme. «Ma le cose non stanno così. Non credo che la maggioranza dei paesi membri del consiglio di sicurezza dell'Onu, la maggioranza dei paesi membri dell'Onu, la maggioranza dei paesi dell'Unione Europea e della Lega Araba, siano finiti sotto le bandiere di Bertinotti». Quando l'Onu ha deciso la guerra all'Iraq che aveva invaso il Kuwait, il suo partito votò contro. Eppure c'era l'avallo dell'Onu alla guerra. «Probabilmente sbagliammo. Non ho difficoltà a dirlo. Allora si era di fronte ad una palese violazione dell'ordine internazionale. Potrei anche dirle perché sbagliammo… Eravamo impegnati in una discussione interna feroce, si era appena sciolto il Pci e nasceva il Pds, e c'era una scissione del partito in corso. Ricordo perfettamente che discutemmo della guerra nel pieno di un congresso nazionale e che prendemmo quella decisione a larga maggioranza. Penso che fu un errore». Dice il centrodestra: la sinistra usa due pesi e due misure perché, quando era al governo, ha partecipato alla guerra prima in Serbia e poi in Kosovo senza l'avallo dell'Onu e informando il Parlamento solo dopo l'inizio degli eventi bellici ai quali l'Italia partecipava. «Ho sentito più volte questa critica, che non è fondata. La decisione di intervenire in Kosovo fu presa dal Parlamento alla quasi unanimità, ma quell'intervento non può essere propriamente chiamato guerra. Noi, allora, eravamo in presenza di una terribile pulizia etnica...». Anche Saddam Hussein si è tragicamente distinto per le sue pulizie etniche... «Che sia un dittatore, nessun dubbio. Ha affamato il suo popolo, ha gasato migliaia di curdi in una sciagurata impresa che resterà sempre nella memoria di tutti... Detto questo, credo che paragonare la crisi dell'Iraq con quella del Kosovo sia sbagliato. Lì facemmo un intervento umanitario, di polizia internazionale. E a differenza di alcuni dirigenti della sinistra, penso che quell'intervento sia stato giusto, che l'Italia abbia fatto una scelta dolorosa, ma giusta. Se oggi la pulizia etnica non c'è più, dobbiamo dire grazie anche all'intervento militare, all'uso della forza. È brutto dirlo, ma è così». Perché all'Italia non può essere consentito, secondo voi, quello che la Germania rosso-verde consente: l'uso delle basi americane e il sorvolo degli aerei militari sul proprio territorio? «Perché abbiamo due Costituzioni diverse. La nostra, all'art. 11, non permette l'uso di basi e di infrastrutture logistiche, perché

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