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«Mai la guerra. Ho vissuto gli orrori»

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C'è ancora tempo per negoziare. In questo momento la nostra responsabilità è enorme

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Mentre i venti di guerra soffiano impetuosi, il Papa in Piazza San Pietro all'Angelus (nella foto) ieri ha evocato ancora una volta la pace, mettendo in guardia il mondo intero dalle «tremende conseguenze» di un conflitto. E, abbandonando il testo scritto, ha spiegato perché in queste settimane è diventato una delle voci più forti contro la guerra: «Ho vissuto la Seconda guerra mondiale - ha ricordato con una determinazione sorprendente - e sono sopravvissuto alla guerra. Per questo ho il dovere di ricordare ai più giovani, a tutti quelli che non hanno avuto questa esperienza, ho il dovere di dire "mai più la guerra"». «Sappiamo tutti bene - ha aggiunto subito dopo, sempre parlando a braccio, cosa che durante un Angelus non faceva da moltissimo tempo - che non è possibile domandare una pace ad ogni costo, ma sappiamo tutti quanto è grande, grandissima, la nostra responsabilità per questa decisione». Il Papa ha parlato a poche ore dal vertice delle Azzorre, che vedrà riuniti Bush, Aznar e Blair, un vertice considerato in Vaticano più simile a un consiglio di guerra e comunque ultima possibilità di imboccare, contro ogni previsione, un sentiero di pace. Il testo letto da papa Wojtyla è molto calibrato, cita i «responsabili politici di Baghdad» e il Consiglio di sicurezza dell'Onu e allude forse al fronte più schierato per la guerra, quando sottolinea che «riflettere sui propri doveri, impegnarsi in fattivi negoziati non significa umiliarsi, ma lavorare con responsabilità per la pace». Gli argomenti del Pontefice sono chiari: «I prossimi giorni saranno decisivi per la crisi irachena»; Saddam ha l'«urgente dovere di collaborare pienamente con la comunità internazionale, per eliminare ogni motivo d'intervento armato»; i Paesi dell'Onu e «in particolare» quelli del Consiglio di Sicurezza debbono ricordare che «l'uso della forza rappresenta l'ultimo ricorso, dopo aver esaurito ogni altra soluzione pacifica, secondo i ben noti principi della stessa carta dell'Onu». C'è poi l'argomento forte delle «tremende conseguenze» che gli iracheni e «l'intera regione mediorientale, già tanto provata» subirebbero in caso di conflitto. E per tutto questo il Papa dice a gran voce che «c'è ancora tempo per negoziare, c'è ancora spazio per la pace». Tutto ciò nel discorso preparato in segreteria di Stato. Ma quando lascia i fogli scritti e parla a braccio Giovanni Paolo II pronuncia frasi che appena dette già sono al vaglio degli osservatori. Innanzitutto il richiamo alla Seconda guerra mondiale e il sentire come un dovere della generazione che è sopravvissuta ricordarne gli orrori a chi non li ha vissuti e evitare che si ripetano. C'è poi l'affermazione che «sappiamo bene che non è possibile domandare una pace ad ogni costo», contro quanti accusano Papa e Santa Sede di ingenuo e pericoloso pacifismo; l'affermazione acquista valore particolare anche dal precedente richiamo alla Seconda guerra. C'è poi la netta dichiarazione che, anche se non si vuole una pace ad ogni costo, «grande, grandissima è la nostra responsabilità» nella decisione sulla guerra o la pace. Significativo è inoltre l'accenno al discorso di Paolo VI davanti alle Nazioni Unite, probabilmente fatto per sottolineare l' importanza dell'Onu come garante dell'ordine mondiale, unica autorità capace di dirimere le controversie in spirito di equità e giustizia. Nelle ore decisive per la crisi, dopo aver pregato nella settimana di esercizi spirituali e dopo aver impegnato la sua diplomazia in uno sforzo a 360 grandi verso tutti gli interlocutori possibili, Wojtyla sceglie quindi di parlare al mondo non come Papa, ma come uomo che ha conosciuto gli orrori della guerra.

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