Atreju, Arianna Meloni e Raoul Bova insieme contro deep fake e odio social
«Siamo davanti ad un bivio, dobbiamo gestirlo: è l’uomo a dover governare la macchina, non subirla». Con queste parole, Arianna Meloni apre il dibattito nel panel di Atreju «Non con la mia faccia». Deep fake, web reputation e odio social: un momento di confronto voluto fortemente da Meloni per fare una profonda riflessione sulle nuove sfide che il mondo moderno deve affrontare. «Da mamma sono preoccupata per i nostri figli che vivono ormai su questo metaverso», spiega Meloni, sottolineando come la rete condizioni la vita dei ragazzi, che rischiano di cadere vittime del deep fake e del cyberbullismo. Ma il pericolo è globale: il capo della segreteria politica di FdI ricorda come l’IA possa diventare «un’arma geopolitica» o finanziaria, citando il caso di un ingegnere di Hong Kong che ha spostato 25 milioni di dollari ingannato da un videep fake del suo direttore.
È chiaro, dunque, che la situazione rischi di sfuggire di mano, come testimoniato anche dalla giornalista Francesca Barra. Segnata dalla sua triste esperienza, racconta di essersi sentita «umiliata» e «spezzata» nel vedere sue foto di nudo generate dall’IA, denunciando anche la difficoltà di far rimuovere questi contenuti dai server esteri per mancanza di normative comuni. La tenacia però ha avuto la meglio per la giornalista che ha denunciato prontamente, ricordando alla platea la tragedia di Carolina Picchio, prima vittima di cyberbullismo toltasi la vita a 14 anni. «Non c’è niente di divertente nel commettere un reato», ribadisce la Barra, criticando chi nei media sminuisce questi eventi. Un concetto rafforzato poi dal magistrato Valerio De Gioia, il quale ha evidenziato due aspetti: l’ignoranza di chi crede che queste siano «goliardate» e la tempestività della legge. De Gioia ha chiarito però che le pene sono severe: fino a 5 anni per la diffusione di deep fake e fino a 10 anni di reclusione per l’estorsione, reato che ha colpito Raoul Bova.
Il noto attore, presente come relatore, ha raccontato come la sua vita sia cambiata per una semplice chat manipolata. Ha descritto la solitudine provata quando, pur avendo denunciato un tentativo di estorsione (in cui gli venivano chiesti soldi per non diffondere audio privati alla stampa), la Polizia Postale non ha potuto bloccare preventivamente la diffusione. Bova ha espresso amarezza non solo per il ricatto, ma per una «società malata» che ha goduto nel vederlo ridicolizzato e sbeffeggiato pubblicamente invece di solidarizzare con la vittima. Una gogna che ha coinvolto anche il collega Fabio Ferrari, il cui profilo social è stato sommerso di insulti e minacce dopo un improvviso picco di popolarità. Una situazione che lo ha «scioccato», portandolo a invitare tutti a usare le parole giuste: non termini tecnici, ma «menzogne ignobili».
Dai blog
Generazione AI: tra i giovani italiani ChatGPT sorpassa TikTok e Instagram
A Sanremo Conti scommette sui giovani: chi c'è nel cast
Lazio, due squilli nel deserto