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Vittorio Feltri: la scuola è diventata un campo di battaglia, esiliamo i genitori e i docenti frustrati

Vittorio Feltri
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La scuola è diventata un campo di battaglia su cui si misurano le frustrazioni di genitori, alunni e insegnanti, ma a lasciarci la pelle (politicamente parlando) è sempre e soltanto il ministro dell’Istruzione di turno che corre e sbraita per cambiarla e alla fine non stravolge un tubo e lascia tutti scontenti. Questo paese ne ha conosciuti tanti: la ministra dei banchi a rotelle Azzolina, l’algida Moratti e l’indecifrabile Bianchi. All’attuale ministro Valditara va però riconosciuto lo zelo e la voglia di portare l’istruzione a un livello di decenza minima che da anni mancava. Reintrodurre il latino in seconda media è doveroso. Riproporre agli studenti lo studio delle poesie a memoria, addirittura sollecitare la conoscenza della geografia o la capacità di sintesi nei riassunti, è un tentativo autorevole di elevare lo spirito dei ragazzi.

Comprendo, il latino è sempre stato nemico acerrimo di una certa impostazione comunista che lo considerava strumento di discriminazione di massa: da una parte i poveri grossolani degli istituti tecnici e dall’altra i latinisti dei licei.

 

Più ignoranti si era- sosteneva una certa vulgata - e meno danni si sarebbero fatti nel tentativo di raggiungere l'uguaglianza sociale e d’intelletto. Fu reintrodotto nelle classi medie del ’62 perché si convenne che una scuola democratica doveva avere una preparazione umanistica e il latino avrebbe consentito agli adolescenti di ogni classe ed estrazione di trovare il proprio ruolo all’interno delle strutture sociali. Ma l’illuminazione ebbe vita breve e la lingua dei classici fu depennata da quel ciclo di studi sedici anni dopo. Credetemi: non c’è insegnante al mondo che non lo abbia rimpianto o non abbia pensato che un’opportunità preziosa veniva buttata nel cesso. Io appresi la lingua di Seneca da un monsignore meraviglioso che si chiamava Angelo Meli: chiacchieravamo in latino della vita di tutti i giorni e il suo eloquio procedeva spedito accanto al mio che lo incalzava. Non mi pareva per nulla un dialogare morto, anzi, lo reputavo vivissimo assai più del berciare in bergamasco. Con quel declamare, la frase si chiariva. E nella conoscenza dei classici dissipavo i dubbi e i tormenti della mia giovinezza.

Non meno utile si rivelò per me il supporto dei poeti. Ricordo ancora la fatica che si faceva per imparare a memoria il 5 maggio di Manzoni.

Se non lo recitavi con la giusta intonazione erano votacci. Qualche studente veniva messo in punizione. Qualche altro rinunciava all’impresa e finiva bocciato. Ma i tormenti del condottiero domito (fu vera gloria? ai posteri l’ardua sentenza...) come il riverbero del sabato del villaggio e quel pianto di stelle cadenti di Pascoli nella notte della rondine caduta tra gli spini erano spiragli che accendevano l’anima e lasciavano impronte indelebili. Li studiavamo a perdifiato senza obiettare nulla, insieme ai primi dieci versi del Paradiso e all’incipit dei Promessi Sposi.

 

Oggi il solo pensiero di sottoporre i pargoletti all’apprendimento di un componimento inversi di Leopardi, Ungaretti o Carducci viene vissuto dai genitori come una tribolazione sovrumana. Soffermarsi sui testi è desueto.

Chiedere una riflessione più approfondita, improbo. Mi dicono che i pochi tentativi fatti nelle scuole per insegnare le poesie si infrangano su memorie labilissime. Tempo 4 giorni ed è tutto finito nel dimenticatoio. Eppure ci sono maestri che non si arrendono. E attingono ai versi dei cantautori per insegnare la poesia. Una prof mi disse un giorno che non c’era metodo migliore della canzone di Max Pezzali per imparare i congiuntivi. Rimasi basito ma aveva ragione lei. Un caso rarissimo di canzonetta educativa. È indubbio che la poesia ben praticata allenerebbe la memoria dei virgulti e darebbe loro degli strumenti per elaborare il dolore, la mancanza, l'amore, l'affacciarsi alla vita sperando possa essere foriera di sorprese. La poesia come cura che sfugge all’etica dell’utile salvandoci da una didattica per competenze.

 

E lenisce anche il male della mente perché le parole attingono all’anima e la sollevano. Quindi ben venga la rivoluzione di Valditara. Sarà strumento di dibattito, sarà stimolo di confronto per quei soloni che misurano l'erudizione su un sapere nozionistico scevro da passioni. Mi chiedo: basteranno la buona fede del ministro e la lungimiranza dell’idea? Vedo troppi genitori rompiballe vagare per i corridoi e le aule del sapere. A loro non importa un fico secco se il fanciullo apprende come si deve e pone le basi di una formazione letteraria. E se ne fottono della grammatica, della letteratura, dell’andare per versi a indagare il mistero. Vogliono il minor disturbo possibile e la minor tribolazione. Dunque si ergono a educatori ignoranti e arroganti pronti a contestare le scelte del docente e a minacciare sfracelli.

Depennateli, esiliateli, cacciateli: sono loro il problema della scuola. Insieme a un certo numero di insegnanti non più all’altezza e frustrati che hanno perso di mira la passione, la speranza, la voglia di combattere e lo stupore fanciullesco davanti alle rime di Pascoli. Se un professore ti parla di Ungaretti come se andasse al patibolo, non trasmette nulla, solo noia e vuoto. Hanno ragione da vendere quelli che dicono che gli insegnanti sono pagati poco e poco considerati.

Ma è indubbio che molti di loro si siano arresi al destino tribolato. Dobbiamo dircelo per non cadere nell'inganno che ogni colpa della scuola sia del governo di turno o del ministro incaricato. Non temete: romperanno le scatole anche al povero Valditara.

E lo accuseranno di conservatorismo. Qualcuno gridera' al fascismo e vedrà anche nello studio dei classici e delle odi antiche lo zampino della Meloni che vuole riportare la scuola al passato e non accetta il cambiamento.

E allora si tornerà ad abolire il latino, i riassunti e la poesia. Meglio l’arabo del latino. Meglio i versi del corano dei versi del Manzoni. Tutti felici e ignoranti in nome dell’inclusione e di una scuola che non vuole smettere di pendere platealmente a sinistra.

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