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Dante censurato, Zecchi: deriva che peggiorerà, perse le radici giudaico cristiane

Giuseppe China
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«Se la scuola continuerà a essere gestita come un’azienda - afferma in un’intervista a Il Tempo l’ex professore di Estetica dell’Università degli studi di Milano e scrittore Stefano Zecchi - gli episodi come quello accaduto a Treviso, dove due studenti di fede musulmana sono stati dispensati dallo studio della Divina Commedia, sono destinati a dilagare. Per dirlo in maniera ancora più chiara e diretta con l’introduzione dell’autonomia scolastica gli istituti hanno iniziato a fare acqua da tutte le parti».

Professore su questa decisione senza precedenti possono aver influito anche altri fattori?
«L’altra variabile determinate nel percorso di tutti gli studenti, in particolare per gli stranieri che sono sempre più numerosi, è rappresentata dalla famiglia d’origine. Tutto ciò che recepiscono a casa rimbalza in maniera inevitabile a scuola. Non sarei affatto sorpreso se fossero stati i genitori a istigarli, considerando che erano già esentati dall’ora di religione. Quindi oggi l’ultima pretesa “colpisce” il capolavoro di Dante Alighieri, ma la lista delle rivendicazioni è destinata ad allungarsi. D’altronde se non ricordo male pochi mesi fa un altro istituto scolastico è rimasto chiuso in occasione della giornata conclusiva del Ramadan».

Quali sono, se esistono, le soluzioni per invertire la rotta?
«All’orizzonte si profila un percorso lungo e complesso che va oltre il panorama politico tradizionale. Insomma non è una questione di destra o di sinistra. È innegabile che in Italia l’istituzione della scuola sia sempre stata trattata come Cenerentola. Servono una corretta distribuzione degli incarichi e una modifica radicale dei concorsi per dirigente scolastico, il quale non può essere una figura esclusivamente burocratica amministrativa, lontana anni luce dal vecchio preside. Discorso analogo per i test sostenuti dagli insegnanti, inoltre la professionalità del docente deve essere apprezzata e ben retribuita. I giovani vogliono essere formati da istituti che li preparino al mondo del lavoro. Mi devo ripetere: il vero fallimento è stato voler gestire le scuole come se fossero aziende».

In maniera concreta come si realizza questo scopo?
«Costruendo un dialogo costante all’interno della coppia inscindibile, formata da materie umanistiche e sapere scientifico.
Quest’ultimo in un’epoca come quella attuale è fondamentale, basti pensare alle opportunità e ai problemi derivanti dall’intelligenza artificiale. Ma non è finita qui perché resta da affrontare il nodo maggiore».

In che senso?
«Senza un freno all’ossessiva spinta laicista, con la conseguente perdita d’identità, non ne usciremo. Lo sviluppo di una società come la nostra è impensabile senza il contributo storico, umanistico e religioso. Detto questo le premesse purtroppo non aiutano, considerando che l’Europa ha completamente dimenticato le sue radici giudaico-cristiane. Posso aggiungere un concetto?».

Prego.
«Auspico che i nostri ragazzi si ispirino agli studenti indiani. Per alcuni anni ho avuto l’opportunità di insegnare all’Università Tagore di Calcutta e ricordo come qui giovani non studiassero per loro stessi ma per il proprio Paese. Si sentivano investiti di una missione da compiere. È proprio il sentimento verso l’apprendimento che deve cambiare».

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